Ship of Fools

Il mare sembrava una sconfinata distesa di olio.
Nemmeno un alito di vento.
La Marilena riposava beata sulle acque dell’Adriatico portandosi dietro i due, chiamiamoli, “marinai” che avevano fatto del loro meglio per condurla.
“Condurre” era decisamente un eufemismo: erano partiti il giorno prima dalla costa del Nord-Est della penisola Italiana senza una meta precisa. Avevano in mente di starsene lontani il più possibile dalla gente e massacrarsi il fegato con ogni genere di sostanza alcolica a disposizione.
Come piano non era niente male, aveva incontrato l’approvazione di Giorgiorgio Giorgiorgi e del suo amico che aveva fornito l’imbarcazione, Eusebio Qualcosa. Non ricordava nemmeno più il cognome di quel bastardo. Frequentavano gli stessi corsi all’università e avevano scoperto di condividere le medesime passioni: birra e porno. Così era nata una indissolubile amicizia priva di qualsiasi genere di interesse.
All’inizio della settimana si incontravano da qualche parte all’interno della sede universitaria e si davano immediatamente appuntramento per la sera per fare fuori una considerevole parte del budget settimanale con il quale i genitori speravano che i loro mocciosi pagassero i loro bisogni.
Era divertente osservare il modo in cui le priorità divergessero in modo così drastico. Da una parte si mettevano vitto e bollette in pole position; dall’altra la grana serviva esclusivamente a accorciare il tragitto che un fegato sano percorreva per giungere alla cirrosi.
Erano già passati due anni da quando Giorgiorgio aveva iniziato a vivere in quel modo disordinato, a lui andava bene così, non c’era motivo di cambiare direzione, giusto?
E poi Eusebio Qualcosa gli aveva confidato che il nonno paterno aveva una carriola – “una specie di catamarano”, l’aveva chiamato – ormeggiata proprio nel porticciolo della loro città universitaria e che al vecchio ormai non fregava più un cazzo di quello che succedeva attorno a lui conseguentemente avrebbero potuto tranquillamente prendere in prestito il macinino, riempirlo di ogni genere di spaccafegato e veleggiare in modo del tutto randomico fino a dove li portavano il vento e le correnti.
In un primo momento Giorgiorgio aveva nutrito qualche dubbio circa il buon esito della gita, in seguito Eusebio gli aveva spiegato che, per condurre una barca, “non ci vuole un cazzo”. In fin dei conti non c’erano semafori, sensi unici né tutto il resto delle rotture di coglioni che si trovano in strada. Quindi la parte difficile era solo uscire dal porto; da quel momento in poi sarebbe stato sufficiente lasciare che le cose accadessero, piallarsi il culo sul ponte e, soprattutto, bere, finire tutta la maledetta scorta di alchol che si sarebbero portati dietro, al resto avrebbe pensato la corrente e fanculo al mondo.
Certo, avrebbero potuto perdersi al largo ma non c’era comunque da preoccuparsi troppo dato che il macinino era dotato di GPS e di bussola, in più era Maggio inoltrato, il tempo era buono e non c’era pericolo che il mare si “ingrossasse” anche perché Eusebio, nei brevissimi intervalli di tempo tra un anal creampie, un’orgia lesbo e un bukkake, aveva consultato tutti i bollettini meteo dispobili su internet e le probabilità che le condizioni meteorologiche peggiorassero erano pari a quelle che loro due capitassero tra le gambe di una studentessa della loro stessa facoltà che non avesse l’aspetto del retro di un autobus: nulle.
Avevano riso assieme e si erano scambiati un bel po’ di pacche sulle spalle, si sarebbero divertiti un sacco a galleggiare alla deriva. Eccome se l’avrebbero fatto.
“Quando?”, chiese Giorgiorgio.
“Hai piani per domani?”, disse Eusebio grattandosi la nuca.
“Qualcuno ce l’avrei, niente di importante comunque. Dovrei andare a qualche lezione e lo stesso vale anche per i giorni seguenti. Ma in ogni caso quegli stronzi non dicono mai niente che non si possa trovare nei libri, giusto? Quindi posso tranquillamente rimettermi in pari quando cazzo voglio, hey!”
“Questo sì che è parlare! Domani alle nove del mattino al porticciolo… no, facciamo alle dieci.”
“Perché fare prima quello che si può fare comodamente un po’ più tardi?”
“Mi hai convinto, alle undici.”
“Perfetto, ci vediamo a mezzogiorno allora.”
“Io e te ci intendiamo alla perfezione, amico.”
“L’hai detto. Se avessi un’altra cosa in mezzo alle gambe, ti sposerei.”
Risero di nuovo, si sedettero a un tavolo della biblioteca universitaria e cominciarono a stilare una lista di ciò che sarebbe loro servito per tirare avanti qualche giorno in mezzo al mare. Birra e patatine. Più tardi si recarono al centro commerciale e acquistarono i beni indispensabili cercando di fare del loro meglio per scegliere gli articoli tra le offerte più convenienti. In fin dei conti la birra era sempre birra e tutto ciò che davvero contava, quando si aveva a che fare con le patatine, era la giusta quantità di sale.
Il giorno seguente si incontrarono all’entrata del porticciolo dove era ormeggiato il catamarano del nonno di Eusebio. Entrambi erano equipaggiati con un paio di luridi zaini che stavano cadendo a pezzi e due borse di nylon con il logo di un supermercato all’interno delle quali avevano suddiviso equamente per peso la spesa che avevano fatto assieme il giorno prima.
“Cosa ti sei portato dietro?”, chiese Giorgiorgio.
“Tre paia di mutande, qualche maglietta e il dentifricio.”, rispose Eusebio.
“Fanculo le mutande! Ho solo dietro il costume da bagno. Se comincio a puzzare sul serio, mi butto in mare e lascio che l’acqua faccia il suo sporco lavoro. Dentro lo zaino ho ficcato un paio di bottiglie di grappa che ho fottuto al mio compagno di stanza appena se ne è sfanculato all’università questa mattina.”
“Ottima scelta, amico.”
“Allora, dov’è parcheggiato questo yacht da centodieci metri?”
“Seguimi.”
Si incamminarono lungo la banchina e, dopo qualche minuto, giunsero a destinazione.
“Marilena?”, esclamò Giorgiorgio osservando l’imbarcazione.
“Un nome da donna per una barca è sempre azzeccato, vero?”
“Cristo santissimo, avrebbero dovuto scegliere un altro nome per questo… questo… questa immondizia. «Merda», per esempio.”
“Dacci un taglio, questa bambina galleggia che è una meraviglia. Ha il timone, la vela e anche un cazzo di motorino per uscire dal porto. Non le manca proprio un cazzo.”
“Nemmeno i topi?”
“Vaffanculo!”, Eusebio saltò sul ponte e fece cenno a Giorgiorgio di seguirlo.
La Marilena non era nemmeno un catamarano, probabilmente Eusebio l’aveva chiamata in quel modo per darsi un tono. Si trattava di una schifosissima barca che aveva visto tempi migliori. Il colore della fiancata era un rosa spento che, con ogni probabilità, quando era stata verniciata, doveva essere stato rosso acceso, il sole e l’acqua salata dovevano aver fatto il loro dovere sulla tinta, ecco tutto.
La scritta sulla prua era marrone e, per quello che valeva, un tempo avrebbe potuto anche essere stata blu. L’albero e la vela erano gli elementi che destavano più preoccupazione: dal tessuto sporgevano svariati filamenti che, chiaramente, lasciavano intendere che lo stesso si stava inesorabilmente sfaldando, inoltre il legno dell’albero aveva assunto tonalità piuttosto scure che lasciavano presagire che lo stesso stesse marcendo miseramente.
Eusebio scese all’interno della cabina, Giorgiorgio lo seguì con decrescente entusiasmo. All’interno c’erano una lunga mensola e due brande con materassi che parevano essere la dimora di un branco di luridi roditori portatori delle peggiori malattie del pianeta.
“Dobbiamo dormire qui?”
“Niente male, vero?”
“Quando è stata l’ultima volta che qualcuno ha fatto le pulizie?”
“Tranquillo, amico: non ci sono parassiti qui dentro. Ho provveduto io stesso a riempire questa reggia di veleno per topi e naftalina.”
“Hai pensato proprio a tutto.”
“Aspetta di vedere la parte migliore.”
Eusebio si spostò di lato e chiuse la porta della cabina. Sull’angolo a sinistra aveva sistemato un piccolo frigo collegato a una batteria per automobili.
“Con questo possiamo tenere la birra al fresco.”, disse entusiasta.
“Sono contento di averti conosciuto. Dico sul serio.”
“Avremmo dovuto portarci dietro un paio di femmine. Avremmo potuto farle ubriacare e scoparle… se non ci stavano nemmeno con qualche litro di alchol in corpo, be’, avremmo potuto buttarle in mare e minacciarle di lasciarle a mollo se non allargavano le zampe. Se, anche così avessero fatto le schizzinose, be’, fanculo! Se la sarebbero fatta a nuoto fino a casa. Col cazzo che le ripescavo, io!”
“Guarda, se avessi una figlia vergine, la manderei a lavorare nei campi per mantenerti. Onesto, non scherzo proprio un cazzo.”
I dubbi di Giorgiorgio si dissiparono in un attimo. Cominciò subito a sistemare le lattine di birra all’interno del frigo.
“Così si fa, amico. Metti quella merda in fresca così, appena lasciamo la costa possiamo dedicarci immediatamente alle cose serie.”
“Hai bisogno di una mano là fuori?”
“È tutto sotto controllo.”
“Adesso viene il più difficile”, pensò Eusebio, dirigendosi verso la poppa dove era sistemato un piccolo motore fuoribordo. Controllò che ci fosse abbastanza carburante all’interno del serbatoio, quindi afferrò la cordicella di avviamento e diede un forte strattone per metterlo in moto.
Niente. L’elica rimase ferma.
Eusebio diede un altro strattone, più forte del precedente.
Niente da fare.
Non si diede per vinto, si sputò sui palmi, afferrò con entrambe le mani la cordicella e tirò con tutta la sua forza… senza ottenere alcun risultato.
“Brutto figlio di puttana!”, sibilò.
“Cosa sta succedendo là fuori?”, si informò Giorgiogio dall’interno della cabina.
“Non riesco a far partire il bastardo.”, spiegò Eusebio in preda alla frustrazione.
Afferrò nuovamente la cordicella di avviamento e, stringendo i denti, diede un altro strattone con tutto il vigore di cui era capace. Il motore rimase fermo. Nel frattempo, sul molo, un vecchio signore osservava la scena divertito con le mani dietro la schiena.
“Cosa cazzo hai da guardare?”, il ragazzo schiumava già di rabbia.
“A occhio e croce hai qualche problema di avviamento, figliuolo.”, rispose il vecchio continuando a sorridere.
“Davvero, Sherlock? E come te ne sei accorto?”
“C’è un idiota su una barca che cerca di mettere in moto un macinino e probabilmente non ha ancora aperto la valvola del carburante.”
Eusebio diede un’occhiata alla base del motore e si accorse che il vecchio sul molo aveva ragione. Aveva dimenticato di girare la valvola del carburante quindi, fino ad allora, aveva solo fatto sforzi inutili. Anche Giorgiorgio salì sul ponte della barca a dare un’occhiata a ciò che stava accadendo. Vide l’anziano sul molo e gli fece un cenno con la testa per salutarlo.
Finalmente il motorino si avviò.
“Benissimo, adesso dobbiamo portare questa bambina al largo.”, Eusebio spiegò alzando la voce per superare il rumore del motore. Quindi corse al timone che si trovava a poca distanza dalla poppa.
“Cosa devo fare io?”
“Molla gli ormeggi!”
La grossa fune che teneva la barca ormeggiata al porto aveva cominciato a tendersi non appena il motore era partito. Dopo qualche istante, fu tesa al massimo e slegarla risultò un’impresa impossibile.
“Credo che dovremmo spegnere il motore e cercare di avvicinarci al molo per slegarla!”, disse Giorgiorgio.
“Scordatelo! Troppo faticoso mettere in moto quel figlio di troia!”
“Ma così non ci muoviamo di un centimetro. Siamo ancora legati al maledetto molo.”
“Idea!”
“Cosa?”
“Scendi in cabina, da qualche parte, mi pare che sia sotto la branda, c’è un coltello. Taglia la bastarda!”
Il vecchio continuò a osservare i due da sopra il molo. Non smise di sorridere per tutto il tempo. Giorgiorgio si precipiò sottocoperta e recuperò il coltello. Era un vecchio affare con la lama seghettata, avrebbe dovuto funzionare alla perfezione per tranciare la fune. Salì in coperta e si precipitò sulla fune che ormai era tesissima. La barca stava letteralmente impennando.
“Taglia quella troia fottuta!”, urlò Eusebio tenendo il timone.
Giorgiorgio si mise immediatamente al lavoro ma l’operazione risultò immediatamente più complessa di quanto si aspettava. Il coltello non sembrava minimamente intaccare il resistentissimo materiale della fune; più il ragazzo spingeva, più i polsi gli facevano male, meno la lama penetrava nella corda.
“Huouston, abbiamo un problema!”
“Cosa cazzo succede adesso?”
“Non riesco a tagliare questa troia fottuta… come facciamo adesso? Potremmo cercare di tornare verso il molo e slegarla, credo che sia la soluzione più sensata.”
“Oh, ma certo!”, rispose Eusebio, “Come se questo bastardo avesse la marcia indietro. Siamo bloccati qui, si può solo andare avanti, oppure spegnere il motore e remare verso il molo, c’è solo un piccolo problema, anzi ce ne sono due: non abbiamo remi e non sappiamo se riusciaremo a rimettere in moto quel figlio di puttana. Quindi l’unica soluzione è tagliare la maledetta fune!”
Al vecchio fermo sul molo a guardare, si erano aggiunti altri due anziani, tutti e tre osservavano quanto stava accadendo scambiandosi pacche sulle spalle e ridacchiando.
“Ho un’idea!”, proclamò Giorgiorgio.
“Allora mettila in pratica alla svelta, cazzo!”
Il ragazzo scese di nuovo in cabina, dopo qualche istante, uscì tenendo in mano un accendino e una bottiglia di alchol denaturato. Versò un po’ di alchol sulla corda e vi appiccò il fuoco.
“Se non funziona questo, siamo davvero fottuti una volta per tutte!”, vociò Eusebio.
“Funzionerà, amico. Il fuoco sembra aver attaccato come si deve.”
L’alchol si esaurì e la fiamma si ridusse così Giorgiorgio spruzzò altro liquido infiammabile per alimentare il fuoco. La corda cominciava effettivamente a consumarsi.
“Ci siamo!”, Giorgiorgio era entusiasta, per una volta una delle sue idee sembrava, a tutti gli effetti, funzionare.
“Fantastico! Tieniti pronto, la fune è tesissima e credo ci sarà un po’ di rinculo quando finalmente ci libereremo! Assicurati che le fiamme rimangano vive!”
“Tranquillone… quasi la metà dei filamenti si è staccata… non dovrebbe mancare molto.”, Giorgiorgio spruzzò un altro po’ di alchol sulle fiamme. La fune cedette all’improvviso scaraventando la barca in avanti con uno scossone. Il ragazzo perse la presa della bottiglia dell’alchol e ci fu un ritorno di fiamma. Per loro fortuna, era rimasto solo una piccola quantità di liquido all’interno dell’involucro di plastica ma sufficiente per far scoppiare un piccolo incendio sul ponte della Marilena. “AL FUOCO!”, urlò Giorgiorgio.
“Porcaccia di quella…”, Eusebio mollò il timone, si tolse la maglietta e gli shorts e li gettò sopra le fiamme, Giorgiorgio lo imitò. Entrambi si misero a saltellare sul legno del ponte per soffocare le fiamme. Nel frattempo, sul molo, i tre anziani parevano spassarsela alla grande, uno dei tre era letteralmente piegato su se stesso e il suo cappello era finito a terra.
Riuscirono, in qualche modo, a domare le fiamme; poi rivolsero lo sguardo al molo e videro i tre ancora in debito di ossigeno che ragliavano.
Decisero che fosse il caso di darsi da fare per allontanarsi dalla costa il più alla svelta possibile. Issarono la vela e, dopo un po’, trovandosi ormai già sufficientemente al largo, spensero il motore e lasciarono che il vento e la corrente li spingessero.
“Hai visto come se la ridevano i pensionati?”, disse Eusebio dalla postazione di timoniere.
“Maledetti parassiti… In effetti è stata una partenza un po’ movimentata.”
“Già, grazie a Dio, nessuno di loro si è messo a fare riprese con un telefonino, di qui a un paio d’ore saremmo già su youtube e un sacco di gente starebbe ridendo di noi.”
“La maledetta barca stava andando a fuoco.”
“Ci è mancato poco. La prossima volta dobbiamo ricordarci di mollare gli ormeggi prima di mettere in moto.”
Un altro saggio consiglio del senno di poi. Era da un bel po’ di tempo che il troppo entusiasmo faceva finire tutto in una colossale pagliacciata. Avevano fatto la figura dei clown ed erano stati derisi in modo grasso da tre vecchietti che puntavano l’indice in loro direzione e stavano perdendosi l’intestino sul terreno dal ridere. Con ogni probabilità, fregarsene e dimenticare l’accaduto era la soluzione più saggia. Certo, dopotutto, ciò che davvero contava, in quel momento, era mandare avanti la barca e, una volta giunti più o meno al centro del Mar Adriatico, cominciare a stappare la birra, accendersi una canna, sgranocchiare patatine e, più in generale, fracassarsi come biglie fregandosene bellamente di tutto quello che, nel frattempo, accadeva sulla terra ferma.
Eusebio rimase al timone per qualche ora, quindi diede un’occhiata all’unità GPS, non ci capì un cazzo, non riconobbe i contorni della costa, non fu in grado di stabilire dove si trovasse la Marilena, mandò tutto a fare in culo con un ampio gesto del braccio, spense l’apparecchio, abbandonò la postazione di comando, gettò l’ancora e chiese a Giorgiorgio di controllare la temperatura degli alcolici nel frigorifero mentre lui si dava da fare per rullare a regola d’arte il primo spinello.
Prese una sigaretta dal pacchetto malridotto, la fece a pezzi e sistemò il tabacco su un paio di cartine che aveva appositamente predisposto. Quindi recuperò il filtro e lo posizionò su uno dei lati della cartina. Recuperò dalla tasca degli shorts un sacchettino di nylon arrotolato e ne estrasse qualche pizzico di erba.
“Chi te l’ha venduta?”, chiese Giorgiorgio.
“Un marocchino, un turco, bu non so, uno che ho beccato in stazione. Ha detto che è roba di prima qualità ma, in ogni caso, trovami un solo spacciatore di erba che non ti garantisca che la sua merda è ottima.”, spiegò Eusebio, indaffaratissimo a rullare lo spinello.
“Ti ha anche detto che tipo di erba è?”
“Ha parlato di roba rossa, qualcosa di rosso. Insomma ha detto il nome della qualità che ha qualcosa a che fare col colore rosso. Cazzo me ne frega a me? Io ho annusato, l’aroma era quello giusto e ho comprato quello che mi serviva. Un vero affare per quello che gli ho dato.”
“Pumte rosse! Si chiamano punte rosse, vero?”
“Sì, amico. Mi pare che hai detto la cosa giusta.”
“Oh cazzarola…”
“Cosa c’è? Ho già provato quella roba una volta, c’è da starci attenti… non metterne tanta, ok?”
“Rilassati, amico. Siamo in mezzo al mare, non può succederci un cazzo.”, lo tranquillizzò Eusebio, quindi passò la lingua su uno dei lati della cartina e, con grande destrezza, chiuse lo spinello. “Ecco fatto.”, disse. Lo accese, se lo portò alle labbra e diede il primo tiro. “Uhmmm… fottuta merda eccellente!”, passò lo spinello a Giorgiorgio che fece un cenno con la mano per riufiutarlo.
“Niente da fare, amico. Il primo te lo fai da solo, io voglio vedere cosa succede, sempre se tra un’ora sei ancora dei nostri; magari ti faccio compagnia alla prossima rullata che, conoscendoti, avverrà prima di mezzogiorno.”
“Come vuoi.”, Eusebio sorrise beato e inalò altro fumo. “Questa roba è davvero fantastica, hey!”
Giorgiorgio osservò l’amico e incrociò le dita, si sarebbe fatto volentieri una sbuffata ma ricordava cosa gli era successo l’inverno precedente quando aveva fumato la stessa roba ed era finito, in preda alle allucinazioni, dentro la vetrina di una libreria con un furgoncino ape.
Suo padre aveva dovuto buttare sul tavolo un bel po’ di grana per tirarlo fuori dai guai, le sue gesta erano finite sulla prima pagina di un paio di quotidiani locali e, grazie a Dio, i cronisti avevano riportato solo le sue iniziali. Si era beccato una denuncia per guida in stato di ebbrezza ma aveva evitato altre due denunce per furto e danneggiamento di proprietà privata. “Grazie, papà.”, pensò. Poi diede un’occhiata a Eusebio e a quei dieci centimetri di canna che gli sporgevano dalle labbra. Erano in mezzo al mare e, fortunatamente non potevano fare danni di alcun genere se non a se stessi e alla carriola sulla quale si trovavano. Si chiedeva se anche il suo amico avrebbe cominciato a vedere cose strane. “Ci sarà da divertirsi.”, pensò osservandolo. Poi si alzò e si mise al timone.
“È difficile governare questo affare?”
“Macché: non ci sono incroci, rotonde né semafori in mare. Non ci sono nemmeno freni né marce da cambiare, non devi dare la precedenza a nessuno e tutto quello che devi fare è semplicemente dare un’occhiata al GPS per assicurarti di non finire sugli scogli ma siamo abbastanza lontani dalla costa quindi non devi preoccuparti nemmeno di quelli. E comunque il bastardo non funziona. Questa roba è di prima qualità, hey!”, Eusebio tenne lo spinello tra le dita e lo osservò con attenzione prima di riportarlo alle labbra e dare un altro tiro.
“Quindi basta girare il timone ogni volta che uno ne ha voglia?”
“Puoi anche mollarlo e lasciare che la corrente ci porti dove stracazzo le pare. Se ci avviciniamo a qualcosa, ce ne accorgiamo di sicuro, basta guardarsi attorno, hey!”
“Ce l’ha un’ancora questa carriola?”
“Come no? È dentro una botola a prua.”
Giorgiorgio abbandonò il timone e diede un’occhiata in giro per trovare la botola di cui l’amico parlava. La individuò e la aprì. All’interno, in mezzo a un groviglio di corda, c’era un’ancora di dimensioni ridicole, non più di trenta centimetri di lunghezza. Il ragazzo la sollevò e la mostrò a Eusebio.
“È questa qui?”, chiese.
“Sì, quella è la bastarda!”, rispose Eusebio con un sorriso da un orecchio all’altro.
“Perfetto…”, sussurrò Giorgiorgio scuotendo la testa.
“Hey dovresti provare questa merda, amico. Davvero fantastica, era da un bel po’ che non mi sgasavo una tromba così buona.”
“Non insistere, ci sono già passato da quelle parti. Per oggi credo che mi limiterò a guardare le onde del mare che ci portano lontano.”
“Come vuoi.”, Eusebio diede un altro tiro e soffiò il fumo lentamente, poi tossì. “Fanculo!”, esclamò.
Trascorsero buona parte del pomeriggio a non combinare un cazzo, a lasciarsi trasportare dal vento e dalle onde e, dato che le scorte glielo permettevano, a ingurgitare quanta più birra riuscissero a contenere i loro stomaci. Verso sera, Eusebio cominciò a rollare un’altra canna e Giorgiorgio si mise a osservare con interesse l’attività dell’amico. Non era successo nulla di tragico e ciò significava che, con ogni probabilità, le famigerate punte rosse non dovevano essere della stessa qualità che aveva provato lui qualche mese prima.
In breve tempo, tra le dita di Eusebio, si materializzò un altro siluro di quasi quindici centimetri. Entrambi osservarono quel capolavoro di ingegneria spinella e sorrisero di anticipazione.
“Credo che questa volta non mi tirerò indietro, amico.”, proclamò Giorgiorgio.
“Questo è l’atteggiamento giusto, ‘ca troia!”, disse Eusebio mentre si ficcava lo spinello tra le labbra. Lo accense e diede una lunga tirata. “Ah… questo è anche meglio di quello di stamattina, un vero peccato che non avessi qualche deca in più in tasca, avrei potuto portarmi dietro una riserva di questo bendiddio e ce ne sarebbe stato a sufficienza per andare fuori di testa per almeno tre giorni… e tre notti.”
“Passa la tromba!”
Giorgiorgio allungò la mano e afferrò la pertica di fumo. Diede una tirata e tossì.
“Com’è?”, Eusebio lo guardava divertito.
“Stesso aroma di quello che mi ha mandato in orbita l’inverno scorso. Uguale…”, soffiò il fumo e si adagiò sul ponte mentre dava un altro lungo tiro. “Assolutamente fantastico.”
Il Sole tramontò dietro l’orizzonte e il cielo cambiò colore in brevissimo tempo. Le onde cullavano la Marilena e i due ragazzi si addormentarono sul legno blaterando assurdità prive di senso. L’ultima cosa che Giorgiorgio vide, prima di essere abbracciato da Morfeo, fu l’enorme quantità di stelle che decoravano il firmamento. E il suono del mare nelle orecchie. “Fanculo la mia vita! Questo è il maledetto Nirvana…”, sussurrò.
Dopo qualche minuto russava di gusto sul ponte della Marilena assieme al suo amico.
Li svegliò il rumore, più che il movimento della barca. Sembrava di essere all’interno di una centrifuga. Eusebio fu il primo a tirarsi in piedi. Era completamente buio attorno a loro, non si riusciva a vedere niente. Si sentiva solo il ruggito del mare e il vento fortissimo che sbatacchiava la barca facendola piegare sulle fiancate in modo tutt’altro che rassicurante.
“Cosa cazzo succede?”, anche Giorgiorgio si era svegliato, si era rimesso in piedi ma cadde immediatamente sbattendo il culo sul ponte.
“Un temporale o qualcosa del genere.”, spiegò Eusebio quindi, quasi a confermare ciò che aveva appena detto, un lampo squarciò improvvisamente il buio illuminando la scena per un istante. Il tuono che seguì fu assordante.
“Ma prima c’erano le stelle!”, protestò Giorgiorgio.
“Lamentati con il Sign…”, le parole di Eusebio vennero interrotte da un altro tuono ancora più fragoroso del precedente.
“Oh cazzarola! Questo era più vicino!”
“Bisogna ammainare la vela altrimenti rischiamo di capovolgerci!”
“E come facciamo? Non si vede un cazzo!”, Giorgiorgio dovette urlare per sovrastare il frastuono.
“Non lo so!”
“NON LO SAI? COME NON LO SAI?”
“Non so come cazzo funziona la vela, non ne ho la più pallida idea ma comunque non dev’essere una cosa complicata. Basta slegare una corda o qualcosa del genere e la troia fottuta dovrebbe venire giù da sola… ci dev’essere un sistema di contrappesi!”
“Un sistema di cosa cazzo hai detto?”
“Dobbiamo trovare l’albero, è tutto lì, il resto è una cazzata!”
Pioveva a dirotto. Acqua dappertutto. In breve tempo, assieme all’acqua, arrivarono anche chicchi di grandine, grossissimi. I due continuavano a tastare l’albero in cerca della corda che teneva su la vela ma non riuscivano a individurla.
“Fanculo questa merda! Andiamo in cabina!”, propose Giorgiorgio.
“Con questo vento? Tu sei completamente fuori di testa! Bisogna che ci liberiamo della maledetta vela!”
“Perché cazzo non l’abbiamo fatto prima di addormentarci?”
“Perché… non lo so perché, ammainiamo la fottuta vela e basta!”
Armeggiarono ancora un po’ finché Eusebio, tastando l’albero un po’ più in alto, individuò un’occhiello con un grosso nodo. “Ho trovato la corda!”, urlò.
Quindi cominciò a fare del suo meglio per sciogliere il nodo, la fune era durissima e il nodo non sembrava voler cedere alla svelta. Quando era sul punto di rinunciare all’impresa, una folata di vento particolarmente violenta squassò il natante spedendo entrambi col culo a terra e tanto bastò a mandare in overdrive l’adrenalina di Eusebio che si rialzò immediatamente impegnando tutto se stesso per avere la meglio sul nodo. La fune, dopo alcuni interminabili minuti, cominciò finamente ad allentarsi finché, con estenuante lentezza, il nodo cedette al peso della vela che collassò sopra i due facendoli rovinosamente cadere a terra un’altra volta.
Strisciarono fuori dal groviglio di tessuto, confusi, bagnati e battuti dai chicchi di grandine che sembravano aumentare di dimensione col passare dei secondi.
“Credo sia meglio gettare l’ancora prima di scendere in cabina! Per evitare di non finire sugli scogli!”, urlò Eusebio.
“Hai idea di dove ci troviamo?”, Lo interrogò Giorgiorgio.
“Non ne ho la più pallida idea e il dannato gps sembra non funzionare.”
“Fantastico!”
“Mi occupo io dell’ancora, tu scendi in cabina!”
Eusebio si avviò a gattoni verso la prua della Marilena mentre Giorgiorgio strisciava in direzione della cabina per evitare di cadere. Una volta che l’ancora fu gettata in mare, la barca cominciò a girare su se stessa come se si trovasse all’interno di un mulinello.
Eusebio scese a sua volta in cabina.
“Mi pare che la bastarda stia facendo la centrifuga… non avrei dovuto bere e fumare così tanto.”, si lamentò Giorgiorgio.
“Tranquillo, ragazzo. Si assesterà in pochi minuti e, a quel punto, smetterà di girare e potremo tornare a dormire.”, Eusebio stava cercando di rincuorare più che altro se stesso.
“Sento che sto per vomitare…”
“Come hai detto?”, il frastuono che proveniva dall’esterno sovrastava del tutto le voci, Eusebio si avvicinò a Giorgiorgio. “Non ho sentito…”, voltò la testa di lato per avvicinare l’orecchio alla faccia dell’amico e riuscire a capire ciò che stava cercando di comunicargli.
“Non mi sento molto bene.. oh merda! BLUUUUEAAARGHH!”
Un fiotto di vomito ad alta pressione scaturì dalle labbra di Giorgiorgio e finì, in buona quantità, all’interno del padiglione auricolare sinistro di Eusebio.
“Oh cazzo! Porca troia! Mi hai… mi hai… non ci posso credere, cazzo! Mi hai innaffiato di vomito la testa…. oh vaffanculo… che schifo… oh mio Dio… ho l’orecchio pieno di… oh merda… SBLUEARRGHH!”
Anche Eusebio venne scosso da violenti conati. Entrambi depositarono mezzo stomaco e probabilmente anche un po’ di intestino sul pavimento della cabina.
All’esterno la tempesta non sembrava diminuire di intensità e l’interno si stava velocemente trasformando nel set de “L’Esorcista”. Avrebbero fatto meglio a spendere il loro tempo libero in appartamento, attaccati a internet a massacrarsi il cazzo di seghe. Ma, ormai, quello che era fatto era fatto e adesso non restava altro da fare che strisciare come vermi nel loro stesso vomito, aspettare che la tempesta terminasse il più presto possibile e sperare che la barca non si rovesciasse.
Giorgiorgio si risvegliò per primo, fuori era chiaro.
Il frigo si era rovesciato, la sportello era aperto e le lattine di birra erano rotolate fuori. L’ambiente era impregnato da un’infernale puzza di vomito e a entrambi sembrava di avere una mandria di cavalli che galoppava all’interno della scatola cranica. Fortunatamente sembrava che le condizioni meteorologiche fossero sensibilmente migliorate dalla notte precedente.
Giorgiorgio uscì all’aperto. Il cielo era ancora grigio ma non pioveva più, anche il vento era cessato.
La vela era sparpagliata disordinatamente sul ponte. Avrebbero dovuto rimetterla a posto se avessero voluto tornare a casa. Il fatto che nessuno dei due sapesse dove si trovasse la barca in quel momento era un problema che avrebbero affrontato più tardi, una cosa alla volta.
Giorgiorgio afferrò un lembo della maglietta che indossava, sollevandolo per portarselo al naso, e annusò il tessuto. La sua faccia si accartocciò per il disgusto. Senza pensarci due volte, si tuffò in mare sperando che l’acqua salata riuscisse a porre rimedio al danno che la notte precedente il suo stomaco, in subbuglio a causa dell’alchol e del mal di mare, aveva provocato.
Nuotò per qualche minuto attorno alla Marilena quindi si rese conto che non sarebbe riuscito a tornare a bordo dato che non c’erano scalette e con le mani non riusciva a raggiungere il bordo della barca. Aveva cercato di risalire afferrando la corda dell’ancora per issarsi a bordo ma, appena metà del suo corpo fu fuori dall’acqua, si rese conto che le sue braccia non avevano la forza sufficiente a tirarlo più su di quanto si trovasse in quel momento.
“EUSEBIO!”, gridò.
L’amico non rispose e Giorgiorgio non sentì alcun rumore provenire dal natante, nessun segno di vita. Con ogni probabilità lo stronzo stava ancora dormendo in mezzo al vomito. Razza di idiota.
“EUSEBIO! FIGLIO DI TROIA!”, urlò più forte.
Niente da fare. Nessuna risposta. Rimase a mollo e cominciò a guardarsi attorno sempre più infuriato e frustato. Passarono alcuni interminabili minuti finché…
“Hey gran bella idea, la tua!”
Giogiorgio si voltò e scorse Eusebio che lo osservava sorridendo dalla poppa della Marilena. Aveva addosso la stessa maglietta che aveva il giorno prima ma con alcune sfumature di colori che non ricordava, probabilmente sfumature con un aroma piuttosto pungente.
Il ragazzo scomparve per qualche istante, Giorgiorgio sentì i piedi dell’amico che sbattevano sul legno del ponte e, immediatamente dopo, vide Eusebio spiccare un balzo, fare una capriola nell’aria e scomparire sotto la superficie dell’acqua.
“STUPIDO IDIOTA! STRONZO! COGLIONE!”, Giorgiorgio prese a pugni l’acqua attorno a lui prima ancora che la testa dell’amico rispuntasse.
“Wow!”, Eusebio ricomparve a circa due metri di distanza. “Non è nemmeno fredda, si sta benissimo!”
“Sei una gigantesca testa di cazzo!”, il ragazzo scuoteva la testa con rassegnazione.
“Che c’è?”
“Come pensi di risalire a bordo adesso?”, Giorgiorgio stava per scoppiare a piangere. “Siamo in mezzo al nulla, non sappiamo nemmeno dove cazzo ci troviamo, non possiamo tornare sulla barca perché non c’è una schifosissima scaletta in questa vecchia carriola… siamo… siamo fottuti.”
“In effetti, non hai tutti i torti.”, Eusebio voltò la testa in ogni direzione. “Ti sei buttato in acqua anche tu, però.”
“L’ho fatto perché puzzavo da far vomitare.”
“La corda dell’ancora…”
“Già provato, non sono riuscito a salire.”
“Da solo, in effetti, è un po’ difficile riuscirci.”
“Cos’hai in mente?”
“Se tu tieni stretta la corda e mi lasci salire sulle tue spalle… be’, tu non affondi perché hai la fune che ti sostiene e io, stando in piedi su di te, riuscirei ad afferrare il bordo e a risalire sulla barca… poi tu resti attaccato all’ancora e io ti tiro su in qualche modo.”
“Potrebbe funzionare.”
“Certo che funzionerà, hey!”
Nuotarono fino alla prua e Giorgiorgio attorcigliò la corda dell’ancora attorno al polso, cercando di fare altrettanto all’altezza della caviglia.
“Vado? Tutto sotto controllo?”, si assicurò Eusebio.
“Vai.”
Eusebio gli girò attorno e gli piantò le mani sulle spalle.
“Dimmi tu quando…”
“Al mio tre. Uno… due… tre!”
Fece forza e si issò sulla schiena dell’amico, digrignando i denti.
“Muoviti, la corda mi sta grattando via la pelle, cazzo!”, si lamentò Giorgiorgio.
Eusebio sollevò la gamba destra ma perse l’equilibrio. Il suo ginocchio finì violentemente contro la tempia dell’amico.
“Scusa!”, disse mentre si issava di nuovo con i piedi sulle spalle di Giorgiorgio.
“Vaffanculo!”, gli rispose, “Muovi quel culo e salta su.”
“Ci sono.”, lo rassicurò Eusebio. Era riuscito a guadagnare la prua. Finalmente il peso abbandonò le spalle di Giorgiorgio.
“Adesso tira su me!”
“Ok!”, Eusebio si sporse dalla prua e afferrò la fune con entrambe le mani, quindi premette i piedi contro la transenna metallica che faceva da perimetro a tutta la barca e cominciò a tirare. “Pesi una tonnellata, cazzo!”, soffiava e cercava di mettere una mano davanti all’altra per sollevare Giorgiorgio. “Fanculo, non ce la faccio!”, lasciò andare la corda improvvisamente e Giorgiorgio finì con la testa sott’acqua. Tornò in superficie tossendo e bestemmiando in modo molto fantasioso.
“Sporgiti così ti sputo in faccia, brutto sacco di immondizie!”, Era furioso.
“Forse è meglio se allunghi le braccia e io ti afferro le mani. C’è maggior presa rispetto alla corda, dovrebbe essere più facile.”
“Congratulazioni, Einstein. Così finisci di nuovo in mare e io devo tornare a farti da piedistallo per risalire a bordo!”, aveva la netta sensazione che alcuni sbuffi di fumo gli stessero uscendo dalle orecchie.
“No, tranquillo, ficco i piedi dentro la botola dell’ancora, vedrai che questa volta ce la facciamo senza intoppi.”
“Non è più o meno la stessa cosa che ha detto tua madre prima di cagarti fuori? Quella troia!”, era fuori di sé dalla rabbia.
“Afferra le mie mani!”, Eusebio ignorò del tutto gli insulti dell’amico e si sporse col busto al di fuori della prua. “Usa la fune dell’ancora per sollevarti un po’!”, suggerì, sporgendosi un po’ di più.
Giorgiorgio fece come gli era stato detto e riuscì ad afferrare la mano dell’amico. “Ci sei! Adesso fai lo stesso anche con l’altra.”, con un colpo di reni riuscì ad assicurare la presa al palmo del ragazzo. Quindi, scalciando l’acqua, cominciò a fare forza per sollevarsi. Entrambe le loro facce erano rosse per lo sforzo. Ripresero a bestemmiare, quasi all’unisono e in modo ancora più fantasioso. Centimetro dopo centimetro, con una lentezza estenuante, Giorgiorgio riuscì finalmente a rotolare sul ponte della barca. Giacevano col fiatone sul ponte, sdraiati sulla schiena.
“C’è da sistemare la cabina.”, disse Eusebio sbuffando.
“Fanculo la cabina! Non voglio beccarmi l’ebola. Torniamo indietro, pisciamo sul ponte e diamo fuoco alla bastarda prima di raggiungere porto. Ci facciamo gli ultimi venti metri a nuoto e ci godiamo lo spettacolo della tua carriola che affonda come lo stracazzo del maledetto Titanic!”
“Non è mia: è di mio nonno.”
“Io non pulisco un cazzo comunque.”
“D’accordo ma, se vogliamo tornare a casa, dobbiamo comunque alzare il culo e rimettere a posto per lo meno la vela.”
“Sei in grado di tornare a casa?”
“Abbiamo il GPS, devo solo capire come funziona; puntiamo in direzione della costa ed è fatta, un gioco da ragazzi.”
“Mi pareva che il figlio di puttana fosse guasto.”
“D’accordo, allora ci affidiamo alla bussola. Andiamo verso nord finché ci schiantiamo sugli scogli.”
“È un piano fantastico, hey! Soprattutto la parte degli scogli.”, il sarcasmo non l’aveva abbandonato.
“La corda che fissava la vela all’albero si è sfilata dall’occhiello in alto. Quindi bisogna arrampicarsi fino in cima, infilare la fune all’interno dell’occhiello, altrimenti saremo costretti a remare fino alla costa… e non abbiamo remi a bordo. Ci sarebbe il motorino ma credo che non abbiamo caburante a sufficienza e non si sa nemmeno se è possibile rimetterlo in moto. Diamoci da fare.”
Eusebio afferrò un lembo di vela e lo sollevò facendo piegare il tessuto su se stesso. Prese la fune e ne infilò un capo all’interno degli shorts, quindi si avvicinò all’albero e cercò di arrampicarsi per raggiungere l’occhiello in alto.
Si accorse immediatamente che il palo era troppo spesso per riuscire a salire fino alla cima dello stesso così, dopo un paio di tentativi andati a vuoto, si voltò a guardare l’amico che lo osservava, quasi divertito e ancora sdraiato sul ponte.
“A occhio e croce hai bisogno di una mano ancora una volta.”, lo canzonò Giorgiorgio.
“Credo che dovremmo rifare più o meno la stessa cosa di qualche minuto fa. Se ti salissi sulle spalle, dovrebbe essere più facile arrivare fino all’occhiello perché il legno si restringe e credo di riuscire ad avere una presa più solida con le mani.”
Giorgiorgio si alzò svogliatamente e si avvicinò all’albero.
“Come dobbiamo fare?”, chiese.
“Fammi sedere sulle tue spalle e poi alzati in piedi.”
Giorgiorgio si piegò sulle ginocchia e fece passare la testa tra le gambe di Eusebio. Quindi si alzò con fatica in piedi.
“Pesi come un cazzo di ippopotamo!”, si lamentò Giorgiorgio.
“Ancora uno sforzo.”, disse Eusebio mentre afferrava il palo e sollevava la gamba destra per appoggiare il piede sulla spalla dell’amico.
“Muovi il culo e sali su questa merda!”, lo incitò, sbuffando sonoramente.
Eusebio finalmente si issò sull’albero, attorcigliando i piedi attorno allo stesso e cominciò a sollevarsi a piccoli balzi verso la cima. Quando si trovava a pochi centimetri dall’occhiello, il capo della corda si liberò dai suoi shorts e cadde sul ponte della nave.
Giorgiorgio si sedette pesantemente a terra scuotendo la testa mentre Eusebio, dall’alto, riprendeva a bestemmiare fantasiosamente associando a ogni santo del Calendario Romano i nomi della fauna dei cinque continenti nella sua interezza. Quando Eusebio fu sceso dall’albero, lo guardò piegando la testa di lato – “Hai intenzione di fare un altro tentativo?”, gli chiese.
“Fanculo la vela!”, rispose Eusebio, “Lascia che controlli quanto carburante c’è nel serbatoio. Non credo che ci siamo allontanati molto dalla costa, se lo facciamo andare al minimo, dovremmo riuscire a tornare senza problemi.”
“Io vado a farmi una birra.”, Giorgiorgio si alzò ed entrò in cabina. “Gesù Cristo in carriola…”, esclamò disgustato non appena scomparve all’interno della stessa.
Eusebio rivolse la sua attenzione al motore, si assicurò che la valvola del carburante fosse aperta e, dopo essersi sputato sui palmi di entrambe le mani, diede un forte strattone alla cordicella di avviamento. Del tutto inaspettatamente, si avviò al primo tentativo. Il ragazzo corse al timone e diede un’occhiata alla bussola dato che non era in grado di far funzionare il sistema GPS. Fece in modo che la prua puntasse a nord e sperò che il carburante fosse sufficiente a riportarli più o meno dove erano partiti. Si guardò attorno e non vide terra da nessuna parte.
Giorgiorgio sbucò dalla cabina con due lattine di birra, ne lanciò una in sua direzione. “Questa è perché sei riuscito a mettere in moto il bastardo.”, disse.
“Speriamo che ci sia abbastanza carburante.”
“In caso contrario, cosa facciamo?”
“Siamo fottuti: non abbiamo una radio per metterci in contatto con la capitaneria di porto e chiedere aiuto; in più i cellulari non funzionano da queste parti.”
“Fantastico, meglio di così non potrebbe andare, giusto?”
“Consoliamoci con la birra, sicuramente non moriremo di sete. Non subito, almeno.”
Spuntò il sole e, in un lasso di tempo piuttosto breve, cominciò a fare molto caldo. Ciò non aiuto a disperdere il fetore acido che proveniva dall’interno della cabina così decisero di chiudere la porta. Dare fuoco alla Marilena per sterminare tutti i batteri una volta giunti vicino alla costa sembrava la soluzione migliore per evitare una pandemia di colera in continente. Se avessero avuto bisogno di bere o mangiare qualche patatina, avrebbero stretto il naso tra pollice e indice e sarebbero scesi all’interno dell’antro in apnea. Nel frattempo era necessario che qualcuno rimanesse al timone costantemente per evitare di andare fuori-rotta e sprecare tutto il carburante girando in tondo. Così stabilirono, di comune accordo, turni di mezz’ora per alternarsi al posto di comando. Dopo circa tre ore, il motore cominciò a tossire e morì.
In lontananza, molto in lontananza, si riusciva però a scorgere la costa. Per lo meno si erano avvicinati alla civiltà ma, a occhio e croce, non potevano coprire a nuoto la distanza che li separava dalla terra ferma. Non sapevano che direzione avessero le correnti e, non potendo rischiare che queste li portassero ancora più al largo di quanto si trovassero in quel momento, decisero di gettare l’ancora in mare e sperare che qualche altra imbarcazione li intercettasse. Prima o dopo qualche stronzo sarebbe passato da quelle parti, qualche peschereccio, qualche cazzo di incrociatore della marina militare, una motovedetta, la stronza guardia di finanza, qualsiasi cosa sarebbe andata bene, anche un dannatissimo ufo.
Eusebio scese in cabina e, dopo aver bestemmiato a causa dell’afrore che vi regnava, emerse tenendo in mano delle cartine e quanto gli rimaneva delle punte rosse che aveva acquistato prima di imbarcarsi. Cominciò immediatamente a rullare, divertito per lo sguardo interessato di Giorgiorgio.
“Vuoi favorire oppure sei in ramadan?”, lo canzonò.
“Fanculo, non ho niente da perdere né da fare. Perché no?”
Eusebio porse lo spinello all’amico e gli passò l’accendino. Il ragazzo accese e inspirò una lunga boccata di fumo. “Roba buonissima!”, sussurrò, sputando una nuvola azzurrognola. Quindi diede un’altra tirata, prima di passare la canna al compagno di viaggio. Terminarono la tromba in meno di cinque minuti ed Eusebio si mise all’opera subito per rullarne un’altra, ancora più lunga e spessa della precedente.
“Non me ne frega più di un cazzo.”, sussurrò Eusebio quindi passò la lingua lungo la cartina e accese lo spinello.
“Ne hai ancora?”
“Nah, questa è l’ultima roba che mi è rimasta. Da adesso fino a che ci soccorrono, dobbiamo tirare avanti solo con la birra e le patatine. Facciamocela durare un po’ di più.”
Terminarono anche il secondo spinello. Erano stesi entrambi sul ponte della Marilena, ridevano e rotolavano sui fianchi, beati e strafatti di punte rosse mentre il Sole li cuoceva a fuoco lento.
“Le onde… riesco a sentirle dentro di me.”, blaterò Giorgiorgio.
“Fanculo i soccorsi, non voglio più tornare a casa, è fantastico!”, aggiunse Eusebio.
“Ti ho raccontato di quella volta che mi sono cagato addosso al pub?”
“No.”
“In pratica ho sentito movimenti strani nell’intestino, mi sono alzato e sono corso in bagno ma mi è esploso il culo a metà strada. Sono tornato indietro ma mi sono tenuto lontano dal tavolo dei miei amici perché sentivo la merda che mi colava fino alle caviglie; ho fatto finta di parlare al cellulare. Sono tornato in fretta a casa e ho fatto una doccia. Puzzavo come un pozzo nero aperto. Il fatto è che la merda aveva già intaccato la zona più sensibile del mio ano e mi è bruciato il culo per due giorni.”
Risero entrambi beati. Poi Eusebio si alzò e scese in cabina, non bestemmiò per l’odore perché le punte rosse avevano compromesso i cinque sensi e, più di tutti, l’olfatto. Quindi risalì portandosi dietro una delle bottiglie di grappa che l’amico aveva infilato dentro lo zaino il giorno prima. Stappò e ingollò alcune vigorose sorsate di distillato. Quindi tossì un paio di volte e porse la bottiglia all’amico che la inforcò e ingoiò altrettanto liquido.
Si addormentarono sul ponte e sognarono situazioni impossibili su pianeti sconosciuti in galassie lontane migliaia di anni-luce. Mescolare punte rosse e liquore sembrava garantire trip indimenticabili, del resto erano bloccati a qualche miglio dalla costa e non potevano che far passare il tempo in modo creativo.
Furono risvegliati da alcune risate. Giorgiorgio riuscì a mettersi in ginocchio e si accorse che, in parte alla Marilena, a pochi metri di distanza galleggiava un lussuoso yacth che torreggiava sulla vecchia carriola sulla quale si erano imbarcati. Sul ponte dello stesso un uomo e una giovane e attraente donna li osservavano ridendo di gusto. L’uomo passava la mano sul culo della ragazza la quale sembrava non farci caso. Indossavano entrambi occhiali da sole.
“Tutto bene, ragazzi?”, chiese l’uomo, sorridendo in modo sarcastico.
“Mai stato meglio, amico!”, rispose Giorgiorgio. In parte a lui anche Eusebio era risvegliato dal sonno chimico.
“Non avete bisogno di niente?”
“Magari se poteste lanciarci una fune e trascinarci fino a riva, be’… lo apprezzermmo.”
“Non credo si possa fare, ragazzo.”
“Be’, allora che altro puoi fare per noi?”, Eusebio era riuscito a rialzarsi faticosamente.
“E chi ha detto che vogliamo fare qualcosa per voi?”, la mano dell’uomo continuava a muoversi sui glutei della ragazza.
I ragazzi si scambiarono un’occhiata interrogativa, quindi Eusebio capì la situazione: avevano a che fare con un pallone gonfiato pieno di soldi che aveva solo voglia di spassarsela con loro.
“Perché non ve ne andate un paio di onde a fare in culo, allora? Voi, il vostro yacht e tutto il resto?”, barcollò mentre urlava.
“Perché siete davvero uno spettacolo divertente e perché il mare è di tutti e possiamo fare quello che cazzo ci pare, possiamo rimanere qui a farvi ombra e prendervi per il culo per tutto il tempo che vogliamo. Ecco perché.”, la ragazza in parte all’uomo continuò a sorridere.
“Oh, davvero? E che ne diresti se decidessimo di cagare su un sacchetto di carta e fare tiro a segno con la merda usando la tua milionaria faccia da cazzo come bersaglio?”, propose Giorgiorgio.
“Già!”, continuò per lui Eusebio, “Se vuoi possiamo anche riempire un gavettone di sperma e prendere di mira la faccia della troia che ti porti dietro. A prima vista, direi che non le dispiacerebbe nemmeno un po’. Che ne dici, stronzo?”
“Dico che sono ricco, sto su uno yacht di diciotto metri, ho una creatura stupenda al mio fianco e un paio di pagliacci su un cesso galleggiante a cui ridere dietro. Non mi manca un cazzo!”
“Oh davvero? E se uno di questi pagliacci salisse sul tuo stronzo yacht da diciotto metri e infilasse un piede mezzo metro su per il tuo culo mentre la tua troia guarda la scena e si masturba squirtando come le Cascate del Niagara?”, lo sfidò Eusebio.
“Sei fortunato che Galina non capisce una sola parola di italiano, altrimenti sarebbe già scesa a cavarti gli occhi con le unghie. Devi imparare a rispettare le donne se vuoi smettere di slogarti i polsi a seghe, sbarbo.”
“Come hai detto che si chiama la tua sguattera? Te la sei fatta mandare impacchettata dal Turkazzarabistan? L’hai pagata con la Mastercard? Hai bisogno di farti difendere da una femmina?”, Eusebio continuò a sfidarlo.
“Di’ un’altra stronzata e scendo a spaccarti il culo con le mie mani, fighetta.”, sembrava che l’uomo stesse cominciando a perdere il suo aplomb.
“Mi sto davvero cagando in mano dallo spavento, scimmione. Vieni a prendermi così ti insegno come si fa a baciare il mio rubicondo culo!”, disse Giorgiorgio.
“Ok, è fatta…”, l’uomo si tolse gli occhiali da sole e li gettò a terra. “È tutto, adesso ti ammazzo!”, si tuffò in acqua e coprì i pochi metri che lo separavano dalla Marilena con vigorose bracciate.
I due ragazzi si appoggiarono proni sul bordo della barca e osservarono l’uomo che cercava senza successo di salire a bordo attraverso la fune dell’ancora.
“Peggio che guardare un vecchio che cerca di scopare.”, lo canzonò Giorgiorgio.
“Fai la stessa fatica anche quando lo pianti in figa alla tua puttana dell’Est?”, aggiunse Eusebio.
“Siete morti!”, sibilò l’uomo tenendo stretta la fune dell’ancora.
“Amico, sei rosso in faccia e si vedono un sacco di vene in fronte. Credo tu abbia bisogno di una rinfrescatina.” Euesebio si alzò in piedi, quindi abbassò gli shorts e, prima che l’uomo sotto di lui si rendesse conto di quanto stava per accadere, vuotò la vescica.
Giorgiorgio non credeva ai suoi occhi. Si rese conto di quanto stava accadendo e si mise a ridere fino alle lacrime.
“Gli hai… gli hai… gli hai pisciato in faccia! AHAHAHAHAHAHAHA!”, era steso a terra e respirava a fatica, in preda agli spasmi.
“Mi scappava…”, spiegò Eusebio.
In acqua, l’uomo era letteralmente fuori di sé dalla rabbia. Diede un paio di pugni al legno della fiancata della Marilena e, dopo essersi reso conto che non sarebbe riuscito a salire a bordo, si allontanò a nuoto per risalire suo suo yacht mentre Giorgio ed Eusebio non riuscivano più a smettere di rotolare sul ponte in preda all’ilarità.
L’uomo salì sul natante, si mise al timone, accese il potente motore fuoribordo e cominciò a manovrare. Eusebio fu il primo a rimettersi in piedi.
“Cos’ha intenzione di fare quello?”
“Se ne sta andando a fare in culo, probabilmente. Di sicuro non può denunciarci perché gli abbiamo pisciato in faccia. Non ci sono testimoni e ogni traccia di urina è stata lavata via dall’acqua salata quindi, in tribunale, noi avremmo la meglio.”, lo rassicurò Giorgiorgio, continuando a ridacchiare.
“Temo che abbia altri piani in testa, ho come la sensazione che non l’abbia presa bene.”
Lo yacht tracciò un largo cerchio sul mare quindi puntò la prua in direzione della fiancata della Marilena. La giovane donna non si era mossa dal ponte e continuava a osservarli. L’uomo ricomparve sul ponte.
“Quello ha intenzione di speronarci”, il pomo d’Adamo di Giorgiorgio si mosse su e giù mentre il ragazzo deglutiva per il nervosismo.
“Non può voler fare una cosa del genere. Rovinerebbe la sua barca e non è una carriola da quattro soldi.”
“Che ne sai? Probabilmente quel figlio di puttana è assicurato e, dopo averci fatti affondare, si farà pagare tre volte il prezzo dello yacht dalla compagnia. Quello ci sta venendo addosso.”
“Cosa cazzo facciamo adesso? Non abbiamo benzina e la vela è fuori uso.”
“Possiamo sperare che ci ripensi all’ultimo momento e giri il timone per evitarci.”
“In caso contrario?”
“Siamo fottuti e dovremo farcela a nuoto fino a riva.”
L’uomo sul ponte dello yacht in rotta di collisione impugnava un megafono.
“RAZZA DI BASTARDI PEZZENTI FACCE DI CAZZO!”, urlò, “VE LA SIETE PRESA CON LA PERSONA SBAGLIATA, STRONZI!”
“Preparati a buttarti in acqua…”, disse Eusebio.
“Non dovevi pisciargli in faccia.”
Eusebio cominciò a fare ampi gesti con le braccia.
“SCUSA AMICO! POSSIAMO OFFRIRTI DA BERE! CHE NE DICI SE DIMENTICASSIMO TUTTO E CI LASCIASSIMO QUESTO SPIACEVOLE EPISODIO ALLE SPALLE?”, Eusebio giocò l’ultima carta, quella della diplomazia, urlò con tutta la propria voce portandosi le mani ai lati della bocca.
“SCUSA UN CAZZO!”, rispose l’uomo dal ponte dello yacht, anche a quella distanza si riusciva a vedere che aveva l’espressione di un orso a cui avevano appena calciato i testicoli. “SPERO CHE UN PESCE SPADA INFILI IL SUO DARDO NEI VOSTRI CULI!”, aggiunse.
“ANDIAMO! ABBIAMO ANCORA UN SACCO DI BIRRA, AMICO!”
“SIETE MORTI! MORTI, CAPITO?”, il lussuoso natante continuava inesorabilmente ad avvicinarsi alla Marilena.
“Credo che dovremo davvero dare l’addio a questa carriola.”, Giorgiorgio era ormai rassegnato.
“Se quello mi viene addosso, gliela faccio pagare cara.”
“In che modo?”
“Hai visto da dove è risalito? C’è una scaletta sulla fiancata dello yacht. Se riesco ad afferrarla al momento giusto, salgo a bordo e gli spacco il culo. E poi mi scopo la sua femmina.”
“Oh mio Dio…”, Giorgiorgio non attese, prese la rincorsa e si gettò in mare. Lo yacht era ormai a pochi metri di distanza e l’impatto era imminente.
“AVANTI, FIGLIO DI TROIA! VIENI A PRENDERMI!”, urlò Eusebio.
Lo yacht impattò violentemente sulla fiancata della Marilena.
Lo schianto che ne seguì fu tremendo.
La piccola imbarcazione si piegò sotto il peso del lussuoso natante quindi la prua si girò seguendo la stessa direzione dell’imbarcazione più grande. Eusebio si gettò in mare e nuotò con tutta la sua forza in direzione della scaletta. La afferrò un attimo prima che gli sfuggisse e fu trascinato via. Con un grande sforzo, riuscì a sollevarsi sopra il livello dell’acqua e appoggiò un piede sul primo piolo. In pochi secondi fu sul ponte dello yacth. Giorgiorgio osservò la scena galleggiando a qualche metro di distanza. La Marilena cominciò lentamente ad affondare, l’acqua entrava attraverso una grossa crepa sulla fiancata.
L’uomo sul ponte dello yacht non si era accorto che qualcuno era riuscito a salire sulla sua imbarcazione finché Eusebio non gli fu addosso.
“MI HAI AFFONDATO LA BARCA, STRONZO!”, vociò il ragazzo mentre, con le gambe attorcigliate attorno alla vita dell’uomo, gli tempestava il cranio di pugni.
“AAAARRRRGHHH!”
Giorgiorgio guardava incredulo quanto stava accadendo, non aveva intenzione di prendere parte alla colluttazione e, in ogni caso, lo yacht si muoveva ancora e raggiungere la scaletta sulla fiancata della lussuosa imbarcazione era del tutto impossibile.
Si accorse che la ragazza che accompagnava il bastardo pieno di soldi si limitava a osservare la scena senza intervenire a sua volta.
Eusebio riuscì ad avere la meglio sull’avversario quando afferrò il megafono che era sfuggito di mano all’uomo e lo calò con tutta la sua forza sul suo cranio. L’uomo collassò a terra privo di sensi.
“Ecco fatto, stronzo!”, disse passandosi una mano sulla fronte, sulle labbra e sul mento per detergersi dal sudore. Quindi si voltò e vide che Galina non si era mossa e che osservava la scena divertita. “Cosa cazzo hai da guardare, tu?”
“Era da un sacco di tempo che desideravo che qualcuno spaccasse il culo allo stronzo.”, disse la ragazza sfilandosi gli occhiali da sole per rivelare incredibili occhi di tonalità smeraldo.
“Pensavo che provenissi da qualche paese sfigato dell’Est Europa, quello ha detto che non capisci una parola di Italiano.”
“I miei genitori sono ucraini ma io sono nata in Italia e non l’ho mai detto allo stronzo… che comunque non è mai stato interessato a fare conversazione con me, come del resto io non mi sono mai interessata a quanto lui avesse da dire.”, spiegò, “Cosa hai intenzione di fare di lui adesso che l’hai steso?”
Eusebio osservò l’uomo esanime sul ponte; cominciava già a riprendersi e si lamentava.
“Hai qualche consiglio?”
“Prima di tutto spegniamo i motori e recuperiamo il tuo amico.”, la ragazza scomparve all’interno della cabina.
Giorgiorgio nuotò in direzione dell’imbarcazione mentre Eusebio, dal ponte, gli faceva segno di avvicinarsi e di salire a bordo. Raggiunse la fiancata, si issò sulla scaletta e salì a bordo.
“L’hai davvero messo fuori combattimento… quello potrebbe farci causa… ed è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.”, Giorgiorgio era preoccupato.
“Niente affatto.”, entrambi i ragazzi si girarono e osservarono Galina, “Lo stronzo vi ha affondato la barca. Direi che si tratta di legittima difesa.”
“Assolutamente!”, commentò Eusebio.
L’uomo si mise faticosamente a sedere e si massaggiò il cranio. Quindi guardò Galina.
“Ho sentito tutto.”, disse, “Sei una gran puttana!”
“Bentornato nel mondo dei vivi, coglione!”, lo apostrofò Eusebio. “Fossi in te, rimarrei dove sono dato che siamo tre contro una mezza sega.”
“C’è un canotto di emergenza con un motorino fuoribordo.”, disse Galina. “Possiamo calarlo in mare, caricarci sopra il bastardo e sfancularcene con lo yacht dove cazzo ci pare.”, concluse.
“Ma non è furto?”, chiese Giorgiorgio.
“Niente affatto.”, Galina indicò la bandierina delle Isole Vergini Britanniche a poppa, “Questa barca è stata affittata e va riconsegnata a fine Giugno, fino ad allora possiamo farne ciò che vogliamo. Il bastardo ha pagato tutto in anticipo e in contanti per questioni… diciamo fiscali. E per ottenere uno sconto, s’intende. Possiamo spedirlo a riva e lui non può fare un cazzo per impedircelo: se ci denunciasse, lui e quello che gli ha affittato lo yacht finirebbero nei guai, in più vi ha quasi ammazzato venendovi addosso. Avete rischiato la vita, giusto? Direi che siete… che siamo… pari.”, spiegò la ragazza.
“Puttana, maledetta troia!”, l’uomo stava letteralmente schiumando dalla rabbia.
“Vuoi sposarmi?”, disse Eusebio.
“Sei ricco?”
“Non ho nemmeno un conto corrente.”
“Allora scordatelo.”
Risero tutti, tranne l’uomo.
“Bene, mi sa che è giunta l’ora che tu salga sul canotto e te ne torni sulla terra ferma mentre noi ce la spassiamo sullo yacht che tu hai già pagato.”, disse la ragazza.
“Me la pagherai cara.”, disse l’uomo, guardando torvo Galina.
“Certo.”, Galina premette un pulsante e il canotto che era fissato su uno dei fianchi dello yacht precipitò in mare.
“Devo prendere qualche vestito prima di andarmene…”
“Ti basteranno gli shorts che hai addosso e questo.”, Galina diede un calcio a un telefono cellulare sul pavimento.
“ME LA PAGHERETE CARA! STRONZI! VI ROVINO! VI ROVINO TUTTI!”, urlò l’uomo.
Eusebio raccolse il megafono da terra e sorrise. L’uomo chiuse immediatamente la bocca, gettò il telefono all’interno del canotto e si tuffò in acqua senza pensarci due volte. Lo osservarono issarsi sul gommone e metterlo in moto prima di allontanarsi in direzione della costa.
I ragazzi si girarono e guardarono Galina, lei afferrò gli occhiali da sole, li infilò e si sdraiò languidamente su una poltrona ricoperta di pelle bianca. “Non sognatevi nemmeno di provarci con me.”, li avvisò.
“Cos’hai intenzione di fare di noi?”, chiese Giorgiorgio.
“Non me ne frega un cazzo.”, disse. Quindi allungò una mano e recuperò un pacchetto di sigarette, ne estrasse una, l’accese e soffiò una nuvoletta di fumo azzurrognolo. Si tirò su a sedere, incrociando le gambe e li osservò, “Ci sono tre cabine in questo affare da ricchi. Io mi sistemo nella suite imperiale; per quanto vi riguarda, se ve la sentite di pulire tutto, fare da mangiare e, in generale, tenere questa villa galleggiante in ordine be’, potete tenervi le altre due. Sareste i miei mozzi.”
Eusebio e Giorgiorgio si scambiarono un’occhiata.
“Vorresti che diventassimo i tuoi schiavi solo per scarrozzarci in giro per il Mediterraneo su uno yacht di lusso?”, Eusebio fu il primo a parlare.
“Proprio così.”, disse Galina.
“Vaffanculo! Riportaci a riva!”
Galina fece spallucce, “Come volete.”, soffiò un’altra nuvoletta di fumo.
“Sei abituata ad avere uomini che ti baciano il culo e tutto il resto solo perché sei un pezzo da scopaggio di altissimo livello, dico bene? Be’, con me non attacca: io non ho mai fatto un cazzo in vita mia e non ho intenzione di cominciare oggi solo perché una che ha un bel paio di tette siliconate mi propone un giretto in barca.”
“Esattamente.”
“Esattamente cosa?”
“Tutti quelli che hanno a che fare con me leccano le impronte che lascio sul terreno.”, Galina sorrise, beffarda.
“Riportaci a riva.”
Giorgiorgio, nel frattempo, si era accomodato su un’altra poltrona ricoperta di pelle bianca.
“Tu non hai niente da dire?”, lo interrogò Eusebio.
“Non è niente malaccio qui.”, disse.
“Vuoi diventare lo schiavetto di Miss Culo Bello 2010?”
“A me piace far da mangiare, hey!”
“Io sono vegetariana, non dovresti cuocere molto, dovresti solo condire qualche insalata senza metterci troppo olio né sale, magari prepararmi una macedonia come dessert, cibo semplice che mi impedisce di ingrassare, o qualcosa del genere.”
“C’è anche roba da bere? Alcolici, dico…”
“C’è una cantina piena di liquidi di altissima qualità, ti ci puoi massacrare il fegato per tutta l’estate, amico.”
“Lo dice una che fuma, bella coerenza del cazzo!”, disse Eusebio.
“Tengo il fumo in bocca e lo sputo senza mandare giù niente.”, spiegò Galina.
“E sono pronto a scommettere il culo e il coglione sinistro che non è l’unica cosa che tieni in bocca e sputi.”
Galina fece un gesto con la mano e sorrise.
“Io resto, tu fa’ quello che vuoi.”, sentenziò Giogiorgio, “Non sono mai stato su uno yacht di lusso prima d’ora e non credo che avrò un’altra occasione per salirci in futuro.”
“Eccellente.”
Proprio in quell’istante, siccome lo scrivente si è rotto i coglioni e magari riprenderà in mano questo cesso più avanti, un improvviso lampo nel cielo accecò i tre sullo yacht.
Un meteorite cadde sul Mare Adriatico, provocando uno tsunami che investì, oltre all’imbarcazione di lusso, anche tutte le spiagge del Nord-Est della penisola Italiana. Morirono, oltre ai due stronzi e alla puttana di Cracovia, lì, da dove cazzo era, migliaia di imprenditori e l’economia del Paese ne risentì in modo drammatico.
Fu convocato un Consiglio Dei Ministri straordinario e, finalmente, fu deciso di tagliare tutte le pensioni di anzianità dei vecchi marci parassiti che affamano la penisola.
Poi però ci si accorse che il 2012 era dietro l’angolo e che, di lì a qualche mese, Nibiru si sarebbe schiantato sul pianeta Terra.
Barack Obama esclamò “Fuck my life!”, diede un calcio in figa a sua moglie e si trasferì in Brasile a scopare fighe mulatte diciottenni che non capivano una sola parola di inglese.
Il 21 Dicembre del 2012 tuttavia non successe un beneamato cazzo e Barack Obama esclamò ancora una volta “Fuck my life!”, fece ritorno a Washington ma sua moglie lo mandò a cagare dopo aver assunto il miglior avvocato divorzista della California. E, a proposito di California, nel frattempo Arnold Schwarz… che non mi ricordo più come si scrive, era diventato presidente degli USA al posto suo perché la Costituzione era stata cambiata e aveva dichiarato guerra alla Corea Del Nord.
Ciao.

15 responses to this post.

  1. pero’…che fantasia contorta…

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  2. Avevo pensato di finirlo con una abductin degli alieni e che la figa fosse un’aliena a sua volta ma poi mi sono rotto nei coglioni (all’interno di essi).

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  3. > Fu convocato un Consiglio Dei Ministri straordinario e, finalmente, fu deciso di tagliare tutte le pensioni di anzianità dei vecchi marci parassiti che affamano la penisola.

    Finale lietissimo, essì.

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  4. Posted by me on luglio 28, 2010 at 18:02

    UAAAAAAA!

    sta roba spacca fottutamente il culo! mi ha flippato come se mi fossi fatto anch’io di punte rosse.

    grazie per la sempre ottima offerta letteraria, giorgiorgio docet 🙂

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  5. Bravo veramente.
    ‘Sto racconto mi è piaciuto veramente tanto.
    Me lo sono letto a puntate tanto era lungo.
    Potevi fare un finale tipo sliding door, così lo continuavi.
    Nulla di autobiografico?

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  6. Left, il finale “ce l’ho” ma ci vorrebbero altre sei pagine e, come ho detto, mi sono rotto nella coglia. Magari più avanti.

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  7. @ bcld
    Allora io adesso me ne vò in vacanza.
    Da settembre in poi il seguito, eventualmente, chè mi rendo conto che una roba ben scritta richiede tempo e voglia.
    Bye
    p.s. mi sono appena baciato (in maniera assolutamente casta, sulla guancia, dio c…) una bella tirocinante che va via.

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  8. La mia amica più figa di tutte su facebook ha appena scritto “dio porco” sulla sua bacheca perché è incazzata con sua sorella. Penso di essermi irreversibilmente innamorato di lei. Immagina una figa totale, un angelo in terra, con le ali che le spuntano sulla schiena che, del tutto inaspettatamente, dice “dio porco”. Mi è venuto duro.

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  9. @ bcld
    eh..
    sono quelle due classiche paroline che scatenano l’ormone, scoprire che dietro un viso d’angelo ed un corpo da favola c’è un magma in ebollizione.

    Minchia, da me le migliori van via e questa meritava o sì!

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  10. in preda alle allucinazioni, dentro la vetrina di una libreria con un furgoncino ape.

    Sospettavo si trattasse dello stesso Giorgiorgio Giorgiorgi.

    Comunque Conrad ti fa una sega. Queste sono vere storie di mare.

    Ho goduto intensamente nel pezzo della burrasca.

    Genio puro.

    Eusebio mi ricorda un cretino che conosco tuttora.

    Senti, pensavo: ma Giorgiorgio una volta laureatosi in scienze della comunicazione tramite i quattrini di papa’, non e’ forse vero che finira’ a dirigere qualche importante quotidiano e a strillare contro l’imbarbarimento morale della gioventu’?

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  11. Yoss, finirà a dover scegliere tra la carriera come scarica-mobili a Maron di Brugnera per poco più di 1000 euri al mese e il chiedere un euro o “ma anche cinquanta centesimi vanno bene uguale” in stazione ai passanti. E sceglierà la seconda. Il realismo innanzitutto. 🙂

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  12. Cazzo, ma questa storia è fantastica… però dovresti riproporla in director’s cut, con il finale più lungo, che sennò ci rimaniamo male!

    Secondo me Giorgiogiorgio finisce a Maron (specialità smerigliatura antine), ma con un Contratto a progetto eternamente rinnovabile a 600 € bloccati…

    Cordialità

    Attila

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  13. ‘I vecchi e gli stronzi in mare “- bellissimo, Hemingway si capotterebbe dalle risate !

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  14. se qualche critico non si fosse fatto i cazzi suoi e non avesse messo in testa a lansdale che sarebbe potuto diventare il faulkner del texas rurale (e quindi dando un taglio alle presunte stronzate), oggi scriverebbe così

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  15. […] La prima parte de “Ship of Fools” è qui. […]

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