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Test: sei U. Fornelli?

Sei U. Fornelli? Rispondi onestamente alle domande e scoprilo da solo.

1. Qualcuno non è d’accordo con quello che scrivi sul tuo blog, come reagisci?

a. Leggo quello che ha da dire e gli rispondo argomentando.
b. Non ho un blog.
c. Mi chiedono come reagisco quando i punti di vista divergono. Se qualcuno dovesse avere punti di vista diversi dal mio, lo banno perché, prima di scrivere, mi documento sempre e, anche quando dico qualcosa di assolutamente opinabile, è comunque vero perché la mia opinione, come si sa, è il Verbo. Ficcatelo in testa: io non ho opinioni, gli altri sì, io invece, quando parlo, lo faccio perché ho studiato, non come l’ottantacinque percento degl’Italiani che si sono arresi e sono dei vigliacchi rassegnati che hanno perso il treno per Dusseldorf, anzi per la Via Lattea. Come quali sono le mie fonti? Guglatelo da solo ché non mi scende il culo di fornirtele dato che, quando me lo hai chiesto e ho dato un’occhiata, non ho trovato un cazzo perché mi sono inventato tutto di sana pianta. Comunque la mia opinione vale più di qualsiasi altra perché io so tutto. Io sono Fornelli, voi non siete un cazzo. Vi banno.

2. Cosa pensi del corpo insegnante italiano?

a. Fanno il loro lavoro, chi bene e chi male; come in tutti i campi ci sono persone competenti e somari.
b. Alcuni dovrebbero essere mandati sui campi.
c. Mi scrivono per sapere cosa penso degli insegnanti. Sono solo un branco di bestie ignoranti che non sanno parlare la lingua del proprio paese. Gente del genere rovina la gioventù. Le maestre sono tutte stronze, hanno la sindrome di down. I presidi sono spastici. Tutti. È a causa loro se l’ottantacinque percento degl’Italiani sono esseri abbietti, perdenti rassegnati! Tutto perché questa feccia è ovunque! Siamo circondati da bestie sessantottine che non sanno cosa sia la meritocrazia. SIETE DELLE MERDE! E NON SAPETE PARLARE ITALIANO! MERDE! VIGLIACCHI! CAPRE!

3. Ooooocchei. Senti qua, come si scrive “un altro”?

a. “Un altro.”
b. “Un altro.”
c. “Un’altro.”

4. E “qual è”?

a. “Qual è.”
b. “Qual è.”
c. “Qual’è.”

5. Parlami dell’università italiana.

a. Fornisce, tutto-sommato, una buona preparazione sia in ambito scientifico che umanistico, purtroppo negli ultimi tempi non si è investito molto nella ricerca ma, con i tempi che corrono, è difficile ricavare le risorse necessarie.
b. Mi fido di un medico italiano allo stesso modo in cui mi fido di un medico svizzero.
c. Mi chiedono cosa penso dell’università. Lammerda. Baroni. Raccomandati. Schifo. Tutto uguale in ogni ateneo. E le facoltà umanistiche non servono a un cazzo, ci vanno solo i somari che non sono in grado di capire la matematica. Ma comunque, in generale, le università italiane sono lammerda.

6. Sei laureato? Se sì, in cosa?

a. Sì. Ingegneria meccanica.
b. No.
c. Nel forum mi chiedono della mia educazione. Mi sono iscritto a matematica e mi sono fatto un culo così. Also, nel frattempo, lavoravo. Ho fatto il buttafuori, il tassista, il muratore, l’allevatore, il percussionista napoletano, il fattorino, l’astronauta, il geologo, lo studioso della psicologia della donna e, a proposito, la psicologia è una falsa scienza e non serve a un cazzo. Ogni scuola psicologica dice le sue stronzate ma non si arriva mai a una conclusione, un cazzo di niente. Per esempio il comportamentismo, no? Pavlov sosteneva che, dati determinati stimoli, si ottenevano risposte fisiologiche di tip(…) (seguono altre cinquanta righe di copia-incolla da wikipedia), a-ha! Ma poniamo che la nerchia del bukkake antani sia limitatamente sincategorematica alla nerchia proporzione A sta a BI come MU sta FA, is it?

7. Ok. Ma sei laureato, sì o no?

a. Mi pare di aver già risposto.
b. Ho detto di no.
c. Google!

8. Parli inglese?

a. Me la cavo.
b. Solo qualche frase molto semplice.
c. Mi scrivono per sapere se l’inglese è una competenza fondamentale Per quanto mi riguarda, sono in grado di fare una presentazione di un prodotto o di un argomento senza particolari problemi. Posso dire di essere più fluente in inglese di molti laureati in lingue italiani che, quando si trovano al di fuori della loro coNfort zone, inciampano e fanno la figura dello scroto allungato.

9. Ok, che ne dici di fare una breve presentazione di te stesso, di quello che fai per vivere, dei tuoi hobbies. Insomma, dimmi quello che vuoi in inglese.

a. Hello, my name is Ciano Manubrio, I’m an engineer, and I work as a project manager for an American company. I like fishing, swimming and reading. Oh, I’m into music, I studied the piano for a few years but, at one point, I had to quit because I went to university and I couldn’t bring my piano along so I picked a cheap guitar. I’d strum it every evening before going to bed, it was good fun.
b. My name is Astro Baule and I’m an accountant.
c. You is making stupid questions, I have not responding. But because you are domanding this? Why you want provockhe me. But I are not stupid, unlike you all is… are! Is it? You is in Italy! Why you is perdent and resigned! I are in Doucheland… cioè no… Alemagnaland… Germany! Why I aren’t looking my female son on the eye and shame me! No! Does it? And, by the way, we all live in a yellow submarine, I can get no satisfaction, smoke on the water and, soprattutt, OKLAHOMA!

10. Come si fa bollire l’acqua?

a. Ne versi la quantità che ti serve in una pentola, la metti sul fuoco e aspetti che bolla.
b. La metti sul fuoco.
c. Mi scrivono per sapere come far bollire l’acqua. Ora, qualche anno fa, mentre mi trovavo in Siberia per alcune ricerche geologiche sul bolide che colpì Tunguska, avevo alcuni blocchi di ghiaccio da sciogliere ma, essendo la Siberia un luogo non esattamente troppo ospitale e non essendovi alcun genere di fonte di calore nelle vicinanze, dovetti assicurarmi di essere in grado di arrangiarmi comunque. Ora, se io fossi stato l’italiano medio che va all’università e si laurea in lettere moderne, avrei dato colpa all’inospitalità del luogo e equitalia. Aha… invece, dopo aver raccolto attorno a me alcuni frammenti di legno secco, cominciai a sfregarli l’uno contro l’altro ma non riuscii a combinare un cazzo. Così mi sdraiai sulla neve e cominciai a muovermi per fare segnali dato che sapevo che quel luogo era sulla traiettoria di uno dei satelliti artificiali che orbitano attorno al pianeta. Poi, assieme a una strega, abbiamo esorcizzato un ragazzo del luogo che era posseduto dal demone Baal e non m’invento mica un cazzo. Per la cronaca, ho fatto insieme ad una strega la stessa cosa che fa amorth, senza bisogno di invocare cristo e ha funzionato prima e senza tutte quelle tragedie che dice lui (cit.; dico sul sul serio, non m’invento un cazzo: CIT.!).

11. Ti ritieni dotato di senso dell’umorismo?

a. Nessuno mi evita, ogni tanto dico qualcosa di divertente. Mi pare di andare d’accordo con tutti.
b. Chi mi conosce, dice che sono una persona abbastanza divertente. Spero che non lo dicano per farmi capire che sono un pagliaccio, hey!
c. Sono simpaticissimo! E mi piace fare scherzi! Le zingarate!!! Ho scritto anche il manifesto degli Sturmi!!! 🙂 Ah, ti ho raccontato di quella volta che abbiamo perculato il Sizzi? 🙂 Da morir dal ridere! Lo abbiamo zingarato un sacco, io e gli sturmi!!! E lui se l’è bevuta fino in fondo!!! E quando gli abbiamo detto che era uno scherzo, lui ha detto che l’aveva capito da un sacco. E poi abbiamo anche zingarato Galatea! E il sito di Vendola! Ah, quante ne abbiamo fatte! AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA! Che ridere!

12. Qualcuno ti prende in giro bonariamente per una tua debolezza, come reagisci?

a. Mi dà un po’ fastidio ma non me la prendo. Cerco di sorridere, spero che non si esageri e mi riprometto di fare altrettanto quando l’occasione si presenterà.
b. Ahahahaha, brutto stronzo! Me la paghi, ahahahahahahahahahahahaha! Vaffanculo, ahahahahahahahaha!
c. Come? Cosa significa che le foto di donne nude che posto sul mio blog ritraggono delle trippochiappone? Come sarebbe a dire che le tette arrivano al marciapiede, che hanno i trigliceridi sballati e che sudano stracchino? Cosa sono queste stronzate? Sì, hai capito bene! STRONZATE! Ah sì? Guarda che può essere che io mi sia scopato quella troia di tua madre, ok? Anzi, sicuramente me la sono scopata! Nel culo! Non sto scherzando! Non mi viene da ridere un cazzo! Come osi criticare i miei gusti sessuali? Ah-ah-ah, che ridere che fai. Sei davvero simpatico come un pugno sui coglioni. Mi sono scopato tua madre nel culo! Stronzo.

13. Una tua conoscente ti fa sapere che aspetta un bambino, è entusiasta di diventare madre. Come reagisci?

a. Le faccio le mie più sentite congratulazioni e le dico di tenermi informato. Sono felice per lei. Non riesco a smettere di sorridere.
b. Fantastico! Gran bella notizia! Congratulazioni!
c. Diventare madre significa cedere il proprio corpo a un altro. La società cerca di farti credere che sei pienamente padrona del tuo corpo solo quando diventi madre, in realtà è l’esatto contrario. Il parto, tutto ciò che lo precede e lo segue sono privazione di libertà per la donna. La cultura cattolica che pervade la vita privata italiana ha portato a questo. Crediamo a menzogne che ci vengono inculcate fin dai tempi del (…) (seguono altre cinquantasette righe di megapippone socio-sbroccotronico.)

14. Stai per tornare nella scatola?

a. Come?
b. Non capisco.
c. No, non ci voglio tornare nella scatola! NON VOGLIO ANDARE NELLA SCATOLA! NOOO! LA SCATOLA NO!!! NON MI METTERE NELLA SCATOLA! SONO BUONO! NOOOO! LA SCATOLA NOOOOOOO! NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!

Risultati:

Prevalentemente risposte “a” – Non sei U. Fornelli.
Prevalentemente risposte “b” – Nemmeno tu.
Prevalentemente risposte “c” – Hey, hey, hey! Benvenuto, Fornelli! Anche se Scassonio-BastaConLaDroga pensa che tu sia nient’altro che un miserabile cazzone arrogante cazzaro incazzoso invidioso pagliaccio permaloso che vorrebbe essere Appeppe Krilla ma non gli regge la pompa, Gesù ti vuole bene lo stesso e ti ritiene un capolavoro di essere umano; lui sa che tu hai fatto il buttafuori, che hai abitato in Sicilia, che hai fatto il perito informatico per svariate procure della Repubblica, che hai conosciuto il mondo dell’editoria italiana e ne sei rimasto schifato, che hai collaborato con importantissime società IT di tutto il mondo, che sai cosa significa partorire perché l’hai fatto, che in Italia avevi un lavoro che molti invidiano e che, quando l’hai lasciato, tutti si chiedevano perché stessi facendo una cazzata del genere ma tu, in realtà, la sapevi più lunga di loro e un giorno riderai… ah, se riderai! Sai le risate che ti farai? Perché TU queste cose le avevi dette, ah se le avevi dette! E adesso hai un lavoro di tutto rispetto in Germania, un’occupazione che ti permette di guardare dall’alto in basso quei poveri coglioni che sono rimasti in Italia e ti concede il lusso di tenere aggiornato il tuo blog; anche due-tre mega-pipponi al dì. Ma non è perché, in realtà, non combini una merda di niente tutto il giorno bensì perché TU sei multi-tasking, ok? Non è che fai il cameriere di sera in una pizzeria gestita da calabresi, ok? Quindi vai tranquo e sciallo ché altrimenti ti si iper-gonfiano le ruote dello skate. Bukkake, nerchia e tutto quanto. Ciao, Fornelli. Se dovessi scegliere chi buttare giù dalla torre tra te e Dio, sceglierei Dio.

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FASCISTA!

FASCISTA!

Questi sono gli italioti che affondano l’Italia rendendola italietta.

PS = Non faccio parte della “cricca” di Uriel Fornelli, pardon, Fanelli. Non conosco Uriel, non ci ho mai parlato assieme, non so che faccia abbia, non me ne frega niente di che faccia abbia. Tanto vi dovevo. Buona giornata a tutti/e.

Test: sei G@mb€r€tt@?

Rispondi onestamente alle seguenti domande e scoprilo da solo/a.

1. È un tiepido pomeriggio primaverile, il sole splende radioso, gli uccellini cinguettano e l’aria sa di fiori appena sbocciati. Il tuo vicino è seduto all’ombra di un albero nel giardino di casa sua e legge un libro di Terry Pratchett, cosa fai?

A. Leggere? A me la primavera fa tirare il cazzo, hey! E, adesso che ci penso, la mia ragazza sta facendo la doccia… hmmm… quasi quasi la raggiungo per fare un po’ di su e giù sotto il getto dell’acqua.
B. Pratchett è divertente, ne ho sentito parlare, gli chiedo di prestarmi il libro appena lo finisce.
C. Scuoto la testa schifata: leggevo “Mondo Disco” quando avevo dieci anni, anzi nove. Allora mi faceva ridere, poi sono cresciuta, ho letto centocinquanta manuali di scrittura creativa e un cazzigliaio di romanzi così, maturando come essere umano e come scrittrice, ho scoperto che Pratchett è una merda. Nella fattispecie: umorismo stantio, situazioni stereotipate e tutto il resto. Roba da mocciosi. Ergo il mio vicino è un coglione e non capisce un cazzo di una merda di niente di letteratura; mi verrebbe voglia di scavalcare il muretto per spiegargli per filo e per segno cosa leggere e per quali ragioni ma a che servirebbe? Quello è solo un rozzo imbecille e potrebbe darmi una scarpata in figa.

2. Hai 20 euro in tasca, come li impieghi?

A. Un paio di Kilkenny Cream, un club sandwich e una cosa nera al pub assieme agli amici. Poi, se ho ancora sete, cerco di farmi offrire qualcosa da loro promettendo di ricambiare la prossima volta.
B. Devo fare benza alla macchina.
C. Vado al Carrefour, faccio “ambarabà-ciccì-coccò” e compro un libro qualsiasi scegliendo tra Menozzi, Troisi e Falconi. Torno a casa e comincio a leggere. Dopo nemmeno mezza facciata, mi rendo conto che quello che ho tra le mani è solo un mucchio di merda e che, ancora una volta, ho buttato i soldi nel cesso. “È inammissibile!”, esclamo indignata. Quindi mi esalto perché so scrivere un sacco meglio di quelli, io! – Anche se nessun bastardo editore si sogna di pubblicarmi manco mezza sillaba perché scrivo di fatine guerriere e vaccate simili e, per di più, al presente indicativo… il che fa cagare squali incazzati la maggior parte del pubblico – Subito dopo mi deprimo e mangio un chilo e mezzo di Toblerone. Poi mi siedo al computer e perdo una settimana a sbrodolare una recensione per dare merda, nell’ordine, all’autore del libro, all’editore, all’Italia-paese-di-merda-dove-pubblicano-solo-chi-ha-conoscenze, e all’universo intero. Il tutto riportando passaggi decontestualizzati e corredandoli con un paio di litri di bava ciascuno. A lavoro terminato, riprendo a devastare la mia scorta di Toblerone attendendo i commenti entusiastici dei miei fans che mi ripetono, ancora una volta, che sono la più grande strafica della Via Lattea.

3. Qualcuno, nei commenti del tuo blog, si trova in disaccordo con le opinioni da te espresse perché, at the end of the day, di questo si tratta: nient’altro che di opinioni e giudizi personali. Come reagisci?

A. Ognuno ha diritto di pensarla come crede. Il mondo è bello perché è vario.
B. Mi piacciono le critiche costruttive, mi aiutano a crescere. Il civile scambio di opinioni è ciò che rende il mio blog interessante.
C. Non sei d’accordo con me? Ho capito bene? NON SEI D’ACCORDO CON ME??? IMPOSSIBILE! NON CAPISCI UN CAZZO PERCHÉ SEI SOLO UN GIGANTESCO PEZZO D’IDIOTA! NON HO RISPETTO PER TE! TU NON HAI LETTO TUTTI I TRATTATI DI SCRITTURA CREATIVA E DI STILE COME HO FATTO IO! OK? OCCHEI? IO LA SO UN SACCO LUNGA, ANZI: LUNGHISSIMA! OK? BRUTTO MUSO DI MERDA! STRONZO! AH, HO TRACCIATO IL TUO IP E TI HO BANNATO! TROLL DEI MIEI COGLIONI! ASPETTA CHE IL DUCA LEGGA QUELLO CHE HAI SCRITTO NELLO SPAZIO COMMENTI, POI VEDI COME TI FA IL CULO A STRISCE SUL SUO BLOG! STRONZO! COME OSI? LE MIE NON SONO OPINIONI! IL MIO È VERBO! È VERITÀ! ASSIOMI! STRONZO! CON ME NON SI DISCUTE, OK? IO HO RAGIONE E TU HAI TORTO, FINE DELLA STORIA. FIGLIO DI TROIA!

4. Dato che Natale si avvicina, un imprenditore locale ha deciso di regalare una decina di copie per ognuno dei romanzi della saga di Harry Potter alla biblioteca della scuola primaria che frequenta tua nipote di nove anni. Come reagisci?

A. È un’ottima iniziativa, i bambini adorano Harry Potter.
B. Una scelta perfetta per educare le nuove generazioni alla lettura.
C. Harry Potter! HA! E poi ci si chiede come mai in Italia la scena letteraria sia talmente pietosa, marcia e ridicola. Per forza! Harry Potter è una merda. Regalano Harry Potter ai mocciosi e poi quelli credono che si faccia così a scrivere. Brutte merde incompetenti! E poi ci si lamenta se tolgono i crocefissi dalle classi. Ma io un giorno riderò perché queste cose ve le avevo dette! Ah, se ve le avevo dette! Sai le risate che mi faccio?

5. Chi ha ucciso la mamma di Bambi?

A. Un bastardo con un arco e le frecce.
B. Non lo so, non ho visto il film.
C. Francesco Dimitri.

6. La tua vicina di casa ti ha chiesto di badare al suo bambino di un anno. Ti ha detto che il pomeriggio fa sempre un sonnellino. Tuttavia il pargoletto, non avvertendo la presenza della mamma, non riesce a prendere sonno e si mette a piangere. Cosa fai?

A. Gli parli dolcemente e sottovoce perché, anche se non capisce quello che dici, reagirà al suono della tua voce.
B. Lo metti sulla culla e lo dondoli dolcemente finché si addormenta.
C. Lanci un’occhiata al mini-stronzo allo stesso modo in cui si guarda una merda di cane spiaccicata sulla suola delle tue Timberland nuove. Gli dici di chiudere il becco perché tu la sai un sacco più lunga di lui dato che hai appena finito di leggere la terza edizione di “Self Editing For Fiction Writers” di Renni Browne e Dave King. Ma quel testicolino glabro in miniatura non smette manco per il cazzo. Allora dici al nano-Kojak che non sta frignando nel modo corretto perché ha uno stile di rompere i coglioni raccontato, non mostrato. Ma, nonostante le tue motivatissime argomentazioni, il nanerottolo friggi-ovaie non ci dà un taglio. A quel punto non ti resta altro da fare che soffocarlo con un cuscino, spargere un barile di benzina in sala da pranzo e dare fuoco alla casa.

7. C’è un mio amicoche vuole chiederti una roba: perché fatine sì ma zombie e vampiri no?

A. Eh?
B. Eh?
C. Perché non se le scopa nessuno, le fatine. È per solidarietà di specie.

8. La tua bocca si muove in modo irrealistico quando parli? In poche parole: è vero che, con la bocca chiusa, sei alta un metro e cinquantaquattro centimetri ma raggiungi la ragguardevole statura di un metro e novanta con la bocca aperta?

A. No.
B. No.
C. Sì.

9. La tua testa è piena di un sacco di stronzate e informazioni assolutamente fini a se stesse di cui non frega una merda di niente a nessuno?

A. No.
B. No.
C. No e comunque, se sfogli “The Craft Of Fiction” di Percy Lubbock, ci trovi scritto che non c’è arte finché la storia non è in grado di raccontarsi da sola: i particolari concreti (barba bianca, rughe, gobba, bastone) dicono al lettore che lo stronzo che si sta descrivendo è un vecchio di merda, non devi scrivere tu che è vecchio. Per esempio, supponiamo che io voglia descrivere la bocca di tua madre dopo che Peter North le ha ficcato dentro i suoi venti e rotti centimetri di carne, ok? Ho appena mostrato che tua madre è puttana, non l’ho detto. L’ho fatto capire per immagini, ok? Tua madre è una puttana. Tu scrivi di merda ma ti pubblicano perché sei amico di un amico di un amico. È sempre così, è una merda. Stronzo! Sfoglia Sugimori Nobumori, più noto con il nome di Chikamatsu Monzaemon che è stato un famoso drammaturgo giapponese, “lo Shakespeare nipponico”! Il saggio del 1738 Naniwa miyage riporta alcune considerazioni di Monzaemon riguardo la narrativa e il teatro. Per esempio si leg(blahblahblahblah).

10. Ti va di cantare una canzone assieme a me?

A. Ok! Uan, tu, tri… Osteria numero sette(…)
B. Re minore… Hey, teacher! Leave them kids alone!
C. VAFFANCULO!

Risultati:

Prevalentemente “A” – Non sei G@mb€r€tt@.
Prevalentemente “B” – Nemmeno tu.
Prevalentemente “C” – Weeeeheeey! Complimenti! Hai la rilevanza sociale di un pupazzo da ventriloquo, l’umore di una cubomedusa e sei simpatica come un pugno sui coglioni, razza di incommesurabile megera socialmente inadeguata che non sei altro. Ti senti una tale strafica a spargere merda su coloro che invidi, vero? Non hanno talento, scrivono come cagano, cagano come scrivono, sono dei fallimenti come esseri umani ma Mondadori gli pubblica un libro ogni sei mesi lo stesso. HA! Ma è perché sono raccomandati, sissignore! RAC-CO-MAN-DA-TI. Terry Pratchett è noioso, Douglas Adams non fa ridere, J. K. Rowling è una miracolata. Solo G@mb€r€tt@ ha un container di talento ma è incompresa nonché osteggiata dall’editoria mainstream perché dice come stanno le cose. Ridere? Praticamente mi sto pisciando una secchia di Paulaner Premium da solo e fanculo l’Oktober Fest. Ciao.

PS = Tutti qua subito: la ragionatissima recensione dell’opera di G@mb€r€tta ad opera di Kurdt.

Don Caspio (come il mare) contro Ulrike–Season one, episode two.

Don Caspio (come il mare) si piegò in avanti, afferrò l’orlo inferiore della tonaca lorda di erba con un gesto che ricordava le eleganti movenze di una prima ballerina (senza tutù, però) e, pazientemente, la arrotolò fino alla vita a rivelare un pregevolissimo paio di jeans di una marca che non citerò ma che costano almeno un paio di cento euri (potenza dell’otto-per-mille).

– “Stupida vacca!”, sibilò mentre, con lo sguardo, seguiva Ulrike che continuava ad allontanarsi da lui, “Non l’avrai vinta così facilmente.”

Il religioso infilò la mano all’interno della manica della tonaca e ne estrasse un cartone di vino bianco da quattro soldi che aveva acquistato un giorno prima con l’intenzione di usarlo per insaporire un pezzo di filetto di tacchino lessato. Con i denti sradicò un lembo di tetrapak, studiò l’apertura che aveva prodotto, la giudicò non sufficiente e, con le dita, la allargò. Quindi portò il contenitore alla bocca e ne bevve, in un paio di poderose sorsate, metà del contenuto.

– “Fa davvero cagare!”, sussurrò osservando il cartone con un grappolo d’uva stampigliato sopra. Quindi lo gettò a terra e lo calpestò furiosamente canticchiando il motivo di “Interstellar Overdrive” dei Pink Floyd. Quando fu soddisfatto, girò sui tacchi e s’incamminò con passo deciso in direzione della canonica.

Una volta all’interno, chiuse rumorosamente la porta alle sue spalle, si avvicinò alla credenza in stile Luigi XVI che decorava una parete della sala da pranzo adibita a stalla, spalancò le ante della stessa e ne estrasse, nell’ordine: un paio di stivali di gomma colore verde militare, una camicia di flanella con una scritta sul retro (“Kurt vive e voi non lo sapete, stronzi!”), una chitarra elettrica Made in China di marca Chibson (per evitare casini di copyright e stronzate varie) verniciata di viola shocking con un ponte licensed Floyd Rose costruito anch’esso nella Repubblica Popolare Cinese con l’impiego di materiali dozzinali da operai che lavoravano tredici ore al giorno e non avevano la minima idea di cosa fosse un sindacato, un mini-amplificatore da cinque watt a transistor con scritto sopra “Marsciall” (per evitare casini di copyright e stronzate varie) che funzionava a pile da nove volt – anch’esso frutto dell’ingegneria cinese -, un cavo jack, una parrucca biondo platino e una cintura di borchie piramidali dorate.

Indossò tutto quanto (chitarra a tracolla e mini-amplificatore sulla cintura compresi) sopra la tonaca sporca di erba e i jeans di marca assieme a un paio di occhiali da sole a specchio; quindi uscì trionfante all’aperto alla ricerca di Ulrike.

La adocchiò infondo alla valle che pascolava come se nulla fosse accaduto.

– “Sono lo shredder della Trinità, cazzo! Nessuna femmina ha mai saputo resistere al mio talento musicale. Cadevano tutte ai miei piedi quando rockavo & rollavo come un bullo!”, sentenziò Don Caspio (come il mare), “Figuriamoci se una stupida vacca pezzata può ignorare il mio talento!”, girò l’interruttore e accese il mini-amplificatore da cinque watt, “Ok, Ulrike… la mia versione metal di *Feelings* di Albert Morris ti ricondurrà a me allo stesso modo in cui il pifferaio magico chiamava a sé le pantegane! In scioltezza!”

Don Caspio (come il mare) lasciò correre le sue agili dita sulla tastiera della solid body di scarsa qualità ed eseguì, in successione rapidissima, quattro scale misolidie, due locrie, il tutto seguito da un furioso tapping. Quindi, senza smettere di suonare, si mise a correre in direzione di Ulrike gorgheggiando a pieni polmoni: “FEELINGS! NOTHING MORE THAN FEELINGS! TRYING TO FORGET MY FEELINGS OF LOOOOVEEEEE! YEAH! EXIT LIGHT! ENTER NIGHT! TAKE MY HAND! WE’RE OFF TO NEVER-NEVER LAAAAAAND… ANZI NO, HO SBAGLIATO… BE’, IMPORTA SEGA… FEELINGS, CAZZO, FEEEEEEEELINGS!!!

La giovenca, ancora una volta, si voltò pigramente in direzione del prete in corsa con la chitarra elettrica a tracolla e tutto quanto ma, quando Don Caspio (come il mare) fu a non più di cinque metri di distanza, quasi a schernirlo, con un leggero trotto, si allontanò nuovamente da lui.

Don Caspio (come il mare), si inginocchiò sull’erba in preda al fiatone mentre cercava disperatamente di non interrompere l’assolo che, ormai, aveva preso un’ineluttabile trend Jack White.

– “Fanculo… vacche d’oggi!”, disse con un filo di voce, quindi gettò a terra la chitarra in preda alla frustrazione.

(Fine della seconda puntata)

Don Caspio (come il mare) contro Ulrike–Season one, episode one.

C’era una volta un prete di nome Caspio (come il mare) che abitava in montagna e aveva una mucca. Siccome nella sua parrocchia non c’erano tanti fedeli, anzi ce n’erano solo due e metà di essi erano pensionati di ottantasette anni e mezzo, lui spendeva quasi tutto il suo tempo ad accudire la mucca. La domenica, infatti, alla funzione non veniva quasi mai un cazzo di nessuno perché la vecchia pensionata faceva fatica a camminare e suo nipote (l’altro fedele) preferiva dedicarsi alla cura dell’osteria che gestiva solo per se stesso (in pratica si versava il vino e lo beveva. Tutto da solo, senza l’aiuto di nessuno) piuttosto che caricarsela in spalla e portarla alla chiesa.

Così Don Caspio (come il mare) accudiva la mucca che, di nome, si chiamava Ulrike. La portava a guinzaglio sul prato dietro la canonica e la osservava mentre pascolava. Di quando in quando le rivolgeva la parola tanto non c’era nessuno attorno ad ascoltare che potesse prenderlo per un coglione che parlava ai bovini.

– “Sai che una volta avevo una morosa che si chiamava come te? Era austriaca e le piaceva andare sulla slitta però parlava italiano solo con un leggero accento che me lo faceva andare in tiro.”, le raccontava, “Così un giorno, per San Valentino, le chiedo cosa vuole come regalo, che ne so… cioccolatini, un braccialetto, fiori, stronzate del genere che piacciono alle femmine ma quella mi guarda negli occhi e fa una slitta!; allora io allargo le braccia e faccio ma te ne ho regalata una l’anno scorso! e lei sì d’accordo ma, se ricordi bene, l’ho prestata al postino che mi aveva chiesto se poteva farci un giro e io, che sono generosa e non dico mai di no a nessuno (non per niente ti permetto di capitarmi tra le gambe), gli ho detto ok e quello si è schiantato contro un pino, è morto con la testa aperta in tre parti e mi ha scassato la slitta. Insomma è andata a finire che ho dovuto regalarle un’altra slitta, lei era contenta di andare in slitta. Però io a un certo punto mi sono rotto i coglioni di questa storia che voleva sempre lanciarsi a tutta giù per la discesa quando nevicava così ho detto fanculo!, l’ho scaricata, sono diventato prete e mi sono comprato una mucca e quella sei tu, pensa un po’.”

La mucca continuava a brucare guardando Don Caspio (come il mare) mentre quello parlava a vanvera. Masticava l’erba pigramente e lo osservava come se volesse dire “pensa che coglione ‘sto imbecille vestito da pinguino: non può fare la predica perché non se lo caga nessuno così parla con una mucca di nome Ulrike.”, solo che non poteva dire un cazzo perché i bovini non parlano. Insomma, siccome le mucche non possono manifestare a parole il proprio disappunto nei confronti dei preti logorroici che rompono loro la coglia, Ulrike decise che fosse il caso di allontanarsi di qualche metro per continuare a nutrirsi senza sentire la voce cantilenante di Don Caspio (come il mare) che le raccontava di quella volta che l’aveva comprata perché la sua fidanzata preferiva la slitta al suo cazzo per l’ennesima volta.

– “Dove te ne vai, Ulrike?”, disse Don Caspio (come il mare) vedendola sgambettare lontano da lui. Si alzò, allarmato, dal tronco d’albero su cui si era accomodato e la inseguì lungo il leggero pendio. “Fermati, non allontanarti troppo… più in là c’è una strada… ok, è poco trafficata e tutto il resto ma metti che, per caso, passa un TIR perché il camionista ha spaccato il GPS e crede che quella sia una scorciatoia per Bollate di Baranzate… insomma… nessuno vuole ritrovarsi una mucca nel radiatore dello Scania, dico bene? Ulrike, torna qui!”

Ma il bovino ne aveva fin sopra le corna delle storie assolutamente fini a se stesse di Don Caspio (come il mare); voleva solo brucare per i cazzi suoi scacciando le mosche con la coda senza ascoltare di quella volta che blablablablabla e blablablablabla così non prestò alcuna attenzione ai richiami del suo padrone e trotterellò lontano da lui.

Dopo quasi un’ora di inseguimento, Don Caspio (come il mare), si ruppe a sua volta nei coglioni e decise che fosse il caso di giocare d’astuzia. Dopotutto l’homo sapiens era più intelligente di qualsiasi bovino sulla faccia del pianeta, giusto? Così girò sui tacchi e s’incamminò in direzione della macchia che cresceva rigogliosa dall’altra parte della collina. Pensava di cogliere Ulrike di sorpresa, afferrarla per il collare, rimetterle il guinzaglio e riportarla nella stalla che aveva ricavato, senza che il vescovo sapesse nulla, dalla sala da pranzo al piano terra della canonica.

Dopo aver camminato tra gli alberi per una ventina di minuti, scorse la pelliccia maculata di Ulrike che pascolava allegramente dietro l’angolo.

– “Ah-ha!”, esclamò Don Caspio (come il mare) con un filo di voce, quindi si mise in posizione di punta come un setter irlandese e, resosi conto che Ulrike era del tutto ignara della sua presenza, fece un poderoso balzo in avanti, afferrandone il collare con entrambe le mani.

Il bovino, da parte sua, pareva essersi completamente scordato il motivo per cui era fuggito dal prete e non oppose alcuna resistenza continuando a masticare erba e scoccando un’occhiata distratta al religioso. Don Caspio (come il mare) estrasse da una tasca segreta della tonaca il guinzaglio e lo assicurò al gancio sul collare placcato argento tempestato di zirconi che aveva comprato su ebay da uno di Codroipo (PN) per quindici euro e sessantatré centesimi (razza di stronzo, aveva voluto anche quelli!).

– “Sei scappata senza alcuna ragione, birichina! Hai fatto proprio come quella volta che il figlio della nipote del cugino del vicino di casa della nonna di mia zia aveva spremuto un lim…”

Ulrike, sentendo nuovamente la voce salmodiante di Don Caspio (come il mare), esclamò stizzita “MUUUUUUUUUUUUUU!” e, con un poderoso colpo di reni, diede uno strattone all’indietro cercando di liberarsi del guinzaglio ma il prete non lasciò la presa e, quando l’animale si mise a correre scendendo a tutta velocità lungo il dolce crinale della collina, puntò i piedi sul terreno ma, dopo appena qualche metro, si ritrovò sull’erba prono, trascinato e rimbalzante su ogni asperità del terreno.

– “Fermati! Razza di stupida vacca imbecille! Fermati, ho detto! Ti ho pagata un fracco di soldi! Ti ho concesso anche l’uso promiscuo della sala da pranzo della canonica! Inutile giovenca ingrata! Stronza! Bastarda! Non mi ascolti, eh? Ricordati della parabola del figliol prodigo! Io non sono un coglione come il padre di quel delinquente! Nossignore! E non porgo nemmeno l’altra guancia! Quando tornerai da me, ti faccio conoscere il mio amico Alvaro che fa il macellaio giù in paese! Hai capito? Fermati, brutta cicciona di merda! Altrimenti ti ritrovi braciola in men che non si dica!”, il tutto rimbalzando sull’erba con la tonaca che svolazzava alle sue spalle. Infine lasciò andare la presa e si rialzò faticosamente da terra osservando Ulrike che sgambettava qualche centinaio di metri più avanti non intenzionata a fermarsi.

(Fine della prima puntata)

Sono McLovin!

Ok, avevo detto che non avrei più aggiornato il blog giusto qualche giorno fa (o qualcosa del genere), il fatto è che ho un peso sulla coscienza da un sacco di anni e, anche se ho sempre pensato che la psicologia teorica (e pratica, nel caso esista) sia una sublime stronzata, mi sono detto “perché no?” e ho deciso di confessare una… errr… colpa di cui mi vergogno tanto da far vomitare.

Quando avevo quattordici-quindici anni e frequentavo la prima superiore, avevo una voglia pazza di capitare tra le gambe a una mia compagna di classe ma, ovviamente, non ci sono mai riuscito. Ma non è questo il punto, il punto è che, come tutti sanno, qualsiasi mezzo andava/va bene per fiocinare la sua giovane vulva. E intendo dire “qualsiasi mezzo”.

Senonché, nella primavera di quell’anno, una tragedia colpì l’istituto superiore che frequentavamo io e la sbarba che aveva provocato la triste fine di qualche milione di spermatozoi giù per il cesso della casa dei miei genitori. Nella fattispecie: una ragazza che frequentava il secondo anno nello stesso istituto fu investita e uccisa proprio davanti alla porta di casa sua. Aveva sedici anni, andava bene a scuola, era simpatica a tutti, una cosa terribile, triste e tutto il resto. Quando, la mattina seguente, la notizia trapelò, quella a cui volevo praticare una dilatazione con raschiamento scoppiò a piangere assieme ad altre compagne di classe.

Io e il mio vicino di banco (che era stato segato sia alle medie che l’anno prima, aveva già diciassette anni, per dire) mantenemmo un contegno il più composto possibile per il resto della mattinata e facemmo finta di essere particolarmente toccati dalla tragedia… anche se, nella realtà dei fatti, non lo eravamo per nulla: non la conoscevamo, non avevamo nemmeno idea di chi fosse (“Chi è morta? Ah… lei?”, dicevamo… “Ecchiccazzo sarebbe?”, pensavamo), sapevamo solo che abitava in una frazione del Friuli Venezia Giulia che si poteva raggiungere in treno (non avevamo scooter motorini e, di raggiungere in bicicletta il luogo, non se ne parlava nemmeno ma di questo dirò tra poco).

Insomma, a ricreazione, quella che mi volevo scopare non sembrava ancora aver superato lo shock per la perdita di una giovane vita, potenza della… come cazzo si chiama… la sensazione di provare il dolore altrui e farlo proprio, potrebbe essere “entropia”(**), un attimo che controllo; no, mi pare che non c’entri un beneamato comunque c’è un lemma che descrive ‘sta roba, ok? Ma in ogni caso, ancora una volta, non è questo il punto.

Stavo dicendo, sempre con il pensiero di fottere la fighetta della silfide, durante l’intervallo, mi avvicinai e finsi di essere altrettanto scosso dalla scomparsa della studentessa del nostro istituto.

– “Oh, ma ti rendi conto? Poteva succedere a noi! Che triste! È così ingiusto!”, singhiozzava.
– “Oh sì, davvero uno schifo…”, dissi io allungando timidamente il braccio sulla sua spalla.

Del tutto inaspettatamente, la meraviglia femminea che popolava il mio microcosmo onanistico mi abbracciò, singhiozzando vigorosamente sul mio petto.

– “Ohilà, vaccatroia!”, esclamai io, stupito.
– “Cosa?”, riuscì a dire lei sempre scossa dai singhiozzi.
– “No, niente… dicevo… quando fanno il funerale?”
– “Domani pomeriggio, tu ci vai?”
– “Certo che ci vado!”, colgli l’attimo, ragazzo, cogli l’attimo! – “Pensavi di andarci anche tu?”
– “Sì, mi farebbe piacere che mi accompagnassi.”
– “Ah eccome! E poi ti pianto mezzo metro di lingua in bocca, una mano sulla figa e finalmente mi libero della stronzissima verginità! Sì, cazzo! Eccome se ti accompagno! Puoi scommetterci il culo che ti accompagno, hey!”, pensai. “Volentieri, so che c’è un treno che parte verso le 13:30. Ci si mette circa un quarto d’ora per arrivare, la chiesa dovrebbe essere poco distante dalla stazione, il paese è piccolo.”, dissi.
– “Sei un ragazzo sensibile.”, disse, guardandomi negli occhi.

“Sono un ragazzo sensibile.”, pensai per il resto della mattinata, il pomeriggio seguente e per tutta la notte. Col tempo avrei imparato che “sensibile” significa “Non avrai mai la mia figa!” ma sono nozioni che si apprendono col tempo, mettendo da parte un sacco di esperienza.

Quando la campanella dell’ultima ora suonò, dissi al mio compagno di banco che sarei andato al funerale con Sara(*). Ricordo che lui disse qualcosa che aveva a che fare con la splendida scelta della location per il primo appuntamento. Poi aggiunse che ci sarebbe stato anche lui e che avrebbe osservato con attenzione ciò che sarei riuscito a combinare il pomeriggio seguente all’interno della chiesa mentre tutti piangevano per la morte di una ragazza di sedici anni.

Come andò a finire? Ah, cazzo. Malissimo! Peggio di così non sarebbe potuta andare, fanculo la mia vita!

Il giorno seguente, al suono della campanella, io e Sara(*) ci dirigemmo alla stazione e salimmo assieme sul treno. Non parlammo per tutto il tragitto, lei appoggiò la testa sulla mia spalla e io desiderai che non si accorgesse che eravamo giunti a destinazione. Avrei voluto raggiungere Trieste (il capolinea) ma, come c’era da aspettarsi, le cose andarono diversamente. Scendemmo dal treno di lì a qualche minuto e, dopo un breve tragitto a piedi, raggiungemmo la chiesa con circa mezz’ora di anticipo rispetto all’inizio della cerimonia funebre. Ci accomodammo nella seconda fila di banchi ma, praticamente subito, il prete ci fece sloggiare dicendo che quelli erano i posti riservati ai parenti della poveretta. Così finimmo due file dietro, ma comunque in prima linea.

In breve tempo la chiesa si riempì e, proprio vicino a me, si sedettero un vecchio con il nipotino. Dietro a me, giusto dietro a me, si accomodò il mio compagno di banco che cominciò a rompere i coglioni praticamente subito. Sara(*) al mio fianco, nel frattempo, aveva ripreso a frignare e a filosofare circa la miseria e l’ingiustizia che caratterizzano la vita umana, sul destino infame e spietato che trancia l’esistenza della povera gente, sulla tragedia che aveva colpito la famiglia della poveretta, la madre  distrutta che era entrata in chiesa seguita dal marito distrutto a sua volta, entrambi in lacrime piegati dal dolore, il fratellino di sì e no quattro anni che li seguiva con l’espressione di chi non capisce bene cosa sia successo e gli sguardi della gente pieni di commiserazione.

– “Ou, c’è anche il preside, guardalo lì.”, il mio compagno di banco mi sibilò all’orecchio.
– “Sì, ho visto.”
– “E anche tutte le compagne di classe della tizia morta… è pieno di figa!”
– “Sì, sì… parla piano ché ti sentono!”
– “Bon, stai dentro ancora per tanto tempo? Mi sono già rotto i coglioni, andiamo fuori?”

*ECO*

Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti oggi per una tragedia che ha colpito una famiglia molto cara a tutta la comunità…

/*ECO*

– “C’è anche quella troia della sguattera stronza sbregacazzi di italiano… puttana! Se lo sapevo, stavo a casa; l’ho già vista stamattina, la vacca!”

E, a questo punto, venni preso da un attacco di ridarola irrefrenabile. Mano sul naso, rosso in volto.

– “Stai zitto… iiiihhh… iiiiihhh… chiudi la cazzo di bocca!”
– “Maccheccazzo ridi?”
– “Zitto, ti spacco la testa! Iiiihhh… iiiihhh…”
– “Nonno, hai visto? C’è quello lì che piange…”, il moccioso aveva notato che c’era qualcosa che non stava andando per il verso giusto.
– “Cosa cazzo ridi, coglione? Qua stanno piangendo tutti!”
– “Quando usciamo di qui, ti spacco il culo! Iiiiih… iiiiiihhhh!”, ormai stavo ragliando.
– “Smettetela voi due!”, Sara(*), occhi rossi, lacrime che scendevano tiepide e copiose sulle sue morbide gote.
– “L’hai sentita, brutto stronzo? Smettila di ridere ché non è il momento adatto. Guarda che è morta una sotto la macchina, inutile merda che non sei altro!”

Mi alzai di scatto in piedi.

– “Mi scusi…”, riuscii a dire al vecchio col moccioso in parte a me, sempre con una mano davanti la bocca.
– “Nonno, perché va via?”
– “Dove vai?”, Sara(*) mi stava osservando, fazzoletto di carta inumidito dalle lacrime tra le dita.
– “No, niente, esco ‘n attimino… fa caldo, mi gira la testa, quelle robe lì, sai… ci vediamo dopo… Iiiih… Iiiiih…”

Chiesa strapiena, sguardi interrogativi, gente triste che mi osservava mentre cercavo di tagliare la corda. Slalom, fuori di qui e anche alla svelta, ragazzo! Una volta all’aperto, mi voltai accorgendomi che anche il mio compagno di banco era fuggito assieme a me.

– “Raaaaaraararararararararara, testa di cazzo!”, io.
– “Rarararararararararara, perché ti sei messo a ridere, coglione?”, il mio compagno di banco.
– “Raaaaaraaaaraaaaraaaa, brutto muso di merda, ti ammazzo!”
– “Raaaraaararaaraarararara, Sara(*) è rimasta dentro.”
– “Raaaraarararararararararaaaaa, tanto me la taccono uguale, cosa credi?”
– “STRONZO!”, Sara(*).
– “Wooops…”
– “Wooops…”
– “E comunque non mi piaci! È inutile che ci provi con me! A un funerale poi! Di una povera ragazza che è morta sotto una macchina… e ridi! A me non mi viene da ridere!”
– “No, guarda che hai capito male…”
– “Ho capito benissimo, invece! Stronzo! Tu e anche lui! Stronzi tutti e due!”
– “Ma Sara(*)…”
– “VAFFANCULO!!!”, girò sui tacchi e rientrò in chiesa piangendo più di prima. Addio, Sara(*).
– “Oh, ok… cosa facciamo? Andiamo via?”
– “Sarebbe meglio che spariste, evaporare, subito!”, faccia incazzata di uno sui trent’anni con gli occhi rossi che era uscito per vedere cosa stava succedendo e, a occhio e croce, aveva capito tutto. – “E poi chiccazzo siete?”
– “Non importa… adesso andiamo via. Arrivederci!”
– “Aspettate un attimo…”

Gambe in spalla e polvere dietro il culo.

Come avrei dovuto aspettarmi, il giorno seguente Sara(*) si era preoccupata di raccontare a tutti/e quanto era successo il pomeriggio precedente durante la cerimonia funebre. L’episodio, sono pronto a scommettere il culo, era arrivato alle orecchie anche degli insegnanti. Tant’è che quella che insegnava scienze, la mattina stessa, si premurò di fare un discorsetto di carattere generale a tutta la classe… tenendo lo sguardo fisso su di me e il mio compagno di classe. Uno sguardo che poteva essere interpretato come “Siete due merde secche, fate schifo alla merda stessa, quella secca s’intende!”

Orbene, come dicevo all’inizio, è da un sacco di tempo che mi porto dentro la vergogna per quel pomeriggio di Aprile di tanti anni fa e, anche se come ho sottolineato prima, ritengo che la psicologia e la psicoanalisi siano solenni stronzate, magari Freud non aveva poi tutti i torti, ok? Cioè: far emergere qualcosa che ho lasciato sepolto nel subconscio troppo a lungo, fare una confessione e cose del genere, dico, potrebbe anche aiutarmi a superare il trauma, dico bene? Boh, vediamo cosa succede, ok?

(*) – Nome fittizio, col cazzo che scrivo il nome vero, hey!
(**) – “Empatia”, it is.

Follia

Il 2011, tenendo conto di quanto sta accadendo ultimamente, sembra essere l’anno della follia e del surrealismo.

Cioè: qua sta succedendo di tutto e, a ripensarci, vien da ridere perché certi episodi solitamente sono relegati all’interno di una raccolta di racconti scritti da qualche autore che predilige il weird.

L’ultimo florilegio di stronzate risale a Venerdì scorso e, fanculo!, ogni volta che ascolto storie del genere, devo assicurarmi di non avere gente davanti a me altrimenti va a finire che gli sputo addosso dal ridere (che è esattamente quello che ho fatto sabato pomeriggio quando mi hanno riferito gli accadimenti della sera precedente).

In pratica due che conosco da un po’ di tempo decidono di fare seratona in un locale dove, nel finesettimana, si tengono meno che mediocri concerti dal vivo e chi frequenta non ha idea di cosa sia il congiuntivo. Proprio il genere di luogo che sono solito frequentare anche io, insomma.

Giunti sul posto, uno dei due dà un’occhiata alla barista, soppesandone le grazie con grande attenzione, e decide che è il caso di provarci perché tanto si vive una sola volta ed è meglio non pentirsi delle rinunce che si sono fatte nel corso della propria esistenza quando ormai è troppo tardi. Così guarda il suo amico e gli fa “Hey, senti qua: alle 23:30 precise, vado da quella e me la trombo.” e l’altro (già pieno di birra e cose nere) “Vai, vecchio! Così si fa! Rifalle le pareti dell’utero col cazzo. E anche quelle dell’intestino.”

Nel frattempo si ingollano un altro paio di secchie di varie sostanze alcoliche in modo da entrare ancora di più in sintonia con lo spirito del luogo e del momento.

Sul palco si alternano gruppi hard-core locali uno peggio dell’altro.

Rapida occhiata all’orologio, segna le 23:15, “Bon, anche se non è l’ora giusta, non me ne frega un cazzo. Adesso vado dalla barista e ci provo!”; si alza, si accorge che, nonostante tutto, non ha ancora perduto l’equilibrio ed è addirittura in grado di camminare. Raggiunge il banco del bar e osserva con grande raccoglimento le grazie della barista. Figa, è figa. Molto figa.

– “Hey, ciao!”
– “Cosa prendi?”
– “Bu, non so. Una cosa nera.”
– “Una cosa nera. Tre euro, grazie.”
– “Senti a che ora chiude il locale?”
– “Certe volte, nel finesettimana se ci sono concerti e c’è tanta gente, chiudiamo anche alle quattro del mattino.”
– “Ah, ok allora. Senti, vieni a bere una roba con me quando stacchi?”
– “No.”
– “Ok, ciao.”

Torna dal suo amico con la cosa nera. L’altro lo guarda e gli dice qualcosa riguardo il bicchiere mezzo pieno che è ancora sul tavolo. Così ingolla il liquore alla liquirizia e riprende in mano la birra di prima. Poi spiega che la vita è una merda e che le tipe fighe sono tutte un lurido branco di stronze puttane, soprattutto se fanno le bariste in una dannatissima bettola di merda dove la musica fa schifo al cazzo e non si riesce nemmeno a parlare senza urlare. Ultimo sorso, rutto. Aggiunge che esce un attimo a prendere una boccata d’aria perché dentro è troppo caldo e c’è aria viziata; in più, sottolinea, gli stronzi sul palco fanno davvero cagare mattoni e sacchi di calcestruzzo.

Si alza e, facendo zig-zag tra la gente in modo piuttosto goffo, esce all’aperto. Si appoggia al cofano di una macchina.

– “Pssst… hey…”

Si gira da una parte e dall’altra ma non vede un cazzo di nessuno.

– “Pssst… sono qui…”

Solleva lo sguardo e vede una tipa sul terrazzo del condominio poco distante che gli fa gesti con la mano.

Capelli neri lisci sulle spalle, niente male, hey! Si guarda alle spalle per assicurarsi che quella del terrazzo non stia cercando di comunicare con qualche altro bastardo ma non vede nessuno nelle vicinanze. Ancora non del tutto certo di quanto sta accadendo, rivolge gli occhi in direzione del condominio e, col dito della mano destra, indica se stesso come per chiedere “Io?”

– “Sì, vieni qua.”

Accento sicuramente non della zona. Potrebbe venire dall’Europa dell’est o dal Sud America, cazzo ne sa lui? Quello che conta è che vuole dirgli qualcosa e, a guardarla dal basso verso l’alto, pare che non sia proprio niente malaccio. Così si incammina e arriva giusto sotto il suo terrazzo, al secondo piano del condominio.

– “Ciao.”
– “Ciao… ho bisogno di compagnia, bello!”
– “Cos’è? Uno scherzo del cazzo?”
– “Hihihihihihihi, no. Ho davvero bisogno di compagnia.”
– “Ah, ok. Che compagnia?”
– “Dai, non fare il scemo! Vuoi venire su o no?”
– “Non faccio il scemo, tranqua. Per dove si sale?”
– “Adesso me apre te portone, secondo piano.”
– “Ok, aspetta ‘n attimino che mando un sms al mio amico.”

Testo dell’sms: “Oh brutta merda, guarda ke sono in appartamento da una tipa ke vuole scopare. Se nn rispondo è xkè ho spento il cel”

Sale le scale e arriva al secondo piano. Porta aperta. “Wow, figata totale!”, pensa, “Pareva che la serata fosse una merda e alla fine invece scopo! E non ho nemmeno dovuto fare tanta fatica e inventarmi stronzate. Grandissimo…”

La tipa apre la porta e, solo allora, guardando da vicino, si accorge che non si tratta di Helena Gimenez Bella Figheira Di Bahia, bensì di Fernando Do Nascimiento di Belo Horizonte, trans che ha abbondantemente passato la quarantina. Con un accenno di barba sul mento.

– “Ah diocan di un diocan… no guarda, dio veramente can, scusa ma sono ubriaco e non mi ero accorto che eri un trans. Ma dio can… ma pensa te. Cioè, non è che ce l’ho con i trans e tutto quanto. Anzi! Per me potete fare quello che volete, tanto non fate mica male a nessuno. È solo che a me piacciono le femmine e non è cambio le abitudini così, da un momento all’altro, ok?”
– “Ma dai, guarda che non sai cosa ti perdi! Ti faccio un bel pompino! Non è mica male, sai? La bocca è uguale a quella di una ragassa. Le ragasse non fanno mica i pompini che faccio io!”
– “No, guarda, sul serio. Come se avessi accettato, fai conto che abbia accettato davvero e che mi hai fatto il pompino uguale anche se non me l’hai fatto. Maccheccazzo dico? Bu, non so.”
– “Ok, dai… se vuoi c’è una mia amica di là, vuoi che te la faccio conoscere?”
– “Un’amica o uno che sembra un’amica ma, in realtà, è un amico vestito strano?”
– “No, ela è un’amica. SONIAAAAA!”

Si spalanca una porta e, da essa, esce Sonia. Un metro e quaranta centimetri scarsi, ottanta chili, settima di seno, un neo gigantesco sulla guancia, capelli neri arruffati che non vengono pettinati da almeno ventisette ore. Tuta adidas blu. Ciabatte. Calzini da tennis. Canottiera da muratore. Bianca.

– “Ciao belo ragazzo con capelli lunghi.”
– “Ciao… senti posso mica andare in bagno? Cioè, non è una battuta, è solo che se non piscio muoio.”
– “Se vuoi ti faccio un bel pompino. Quanti soldi hai?”
– “No, guarda. Io devo andare in bagno, mi scappa.”
– “Quanti soldi hai?”
– “Eh, ho fatto seratona. Mi sa che mi son rimasti venti euro.”
– “Con venti euro ti faccio un bel pompino. Ma non scopare perché, per scopare, ci vuole cinquanta euro che se la gente sa che faccio lo sconto a te, poi lo vogliono tutti e io devo mandare soldi a famiglia in Brasile.”
– “Devo anche pagare? Ma porco dio, ma checcazzo me ne frega a me? Dio can, io devo pisciare e basta.”
– “Allora vai fuori dalle balle e non tornare a rompere i cohones a me che stavo dormendo, ok?”
– “Ou, dio boia! Guarda che è stato il tuo amico a chiamarmi su perché aveva bisogno di compagnia e io credevo che fosse una femmina.”
– “Vafanculi!”
– “Ok, vafanculi anche a te. Ciao e porcodio!”

Pisciata di due ore nel parcheggio. Rientra nel locale. C’è un altro gruppo che suona. Fanno, se possibile, cagare ancora più incudini di quelli di prima. Trova l’amico che lo aspetta seduto al tavolo con un bicchierino di cosa nera in mano.

– “Ou, dove eri andato?”
– “Ti ho mandato un sms.”
– “Ah, ho lasciato il cellulare in macchina.”
– “Finisci di bere quella roba che poi andiamo via, guido io e facciamo una strada interna così non becchiamo pattuglie.”
– “Ok, *sglop*, finito. Andiamo.”

Montano in macchina assieme. Quello al posto di guida si osserva attentamente le dita delle mani per qualche secondo e decide che dovrebbe essere in grado di tornare a casa senza schiantarsi contro un platano né finire in un fosso ai margini della strada.

Tuttavia, lungo il tragitto, decidono di andare a bere l’ultima roba in un altro locale della zona dove suonano dal vivo ma la qualità delle band è solitamente migliore perché si fanno pagare. Arrivano e, vaccaiddio, c’è il concerto di un gruppo tributo a un cantante italiano che, ora come ora, non mi va nemmeno di nominare perché mi fa incazzare e basta. Bestemmiano entrambi, si siedeono e ordinano due cose nere. Bevono.

Si materializza un conoscente di uno dei due che è rinomatamente più comunista di Lenin e Fidel Castro messi assieme.

Dialogo.

– “Ou, ti ho visto che parlavi con xyz l’altro giorno. Ma che razza di gente conosci?”
– “Sì è mio amico, perché?”
– “Perché…”, il tipo è ubriachissimo, ubriachezza e comunismo militante sono due ingredienti assolutamente esplosivi, “…perché quello è un fascista e io non posso essere amico di uno che è amico di un fascista.”
– “Ma dio can…”, interviene l’altro che non ha guidato.
– “Ma dio can cosa?”
– “Dio can, è venerdì sera, dio can. Devo ascoltare ‘ste stronzate anche quando sono ubriaco perso? Dio boia!”
– “Ou, non sarai mica fascista?”
– “Sì, porco dio! Sto bevendo una cosa nera perché la liquirizia è nera, dio can! VIVA Il DUCE! PORCO DIO!” (NB: in realtà non gliene frega una merda della politica, sta solo rompendo i coglioni perché, da ubriaco, diventa molestissimo.)
– “Ah sì? Bon, allora ti spacco la testa. Dio can! Solo perché sono comunista non è che sono uno che si caga addosso. Dio boia! Non è vero che i comunisti le prendono sempre. A me piace fare a botte! E non ti ho già tirato un pugno in faccia solo perché hai gli occhiali!”
– “Bon, ecco. Mi sono cavato gli occhiali! E adesso? Porco dio!”
– “Andiamo fuori così ti spacco la merda!”

Escono incazzati; l’altro, quello del trans, li segue dicendogli di lasciare perdere, che è il finesettimana e lui si voleva solo divertire senza ‘ste cazzate del comufascismo, quello che cazz’è.

All’esterno il comunista e il finto fascista (quello che diventa molestissimo quando è ubriaco), sono già in posizione da boxe che tirano ganci all’aria perché nessuno dei due ha coraggio di prendere l’iniziativa per primo.

Quello del trans afferra l’amico per la vita e cerca di trascinarlo via. E, proprio in quel preciso istante, l’eroe della rivoluzione trova le motivazioni giuste e decide che è il momento perfetto per tirare un cartone al nemico della rivoluzione.

Lo manca clamorosamente.

Il pugno, seguendo una traiettoria che è tutto un programma, oltrepassa la spalla sinistra del finto-fascista e finisce nella faccia di quello del trans che stava cercando di far scoppiare la pace tra i due.

Quello del trans: “AHIA, DIO BOIA!”
Comunista: “Uh, scusa, dio can… non volevo prenderti in faccia, io volevo dare un cartone al tuo amico fascio…”
Quello del trans, tenendosi la faccia: “DIO BOIA!!!”
Finto-fascista molestissimo: “AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA! Porco dio, che ridere!”

Fine della serata.

Adesso non sto qua a raccontare cos’è successo nei giorni precedenti a questo accadimento, tuttavia il 2011 si sta configurando come l’anno della bollitura totale. Ne stanno succedendo troppe e di tutti i colori. Sul serio.

Ok, vado a distruggermi in palestra.

Sono sempre più grosso.

30 gradi.

Sono stato al centro commerciale a fare un giro ma, soprattutto, a comprare la pizza surgelata. Fuori trenta gradi (Evvai! Fanculo inverno, fanculizzati alla grandissima!), dentro venti grazie all’aria condizionata. Entro e noto due culetti di giovani fanciulle giusto davanti a me. Piego la testa di lato e una palpebra comincia a tremolare per i cazzi suoi, campanello d’allarme.

Cambio direzione e si materializzano altri culetti spettacolari, roba da esposizione, quelle chiappe architettoniche che solitamente si plasmano in tale guisa solo attraverso un durissimo lavoro di cardio-aerobica e una dieta a base di pesce, pollo ai ferri o al vapore, verdure non condite, frutta di stagione più stimolazione della diuresi con due litri di acqua non gassata quotidiani.

Mi sudano le mani, mormoro una bestemmia orrenda sottovoce e proseguo cambiando direzione. Penso che tra un mese si sposa uno che conosco e che due stronze hanno cominciato a smerigliare i coglioni a tutti con email idiotissime dove ipotizzano di organizzare scherzi cretini che, alla fine, non sono nemmeno scherzi ma solo stronzate da squinternate rincoglionite che pensano di essere divertenti e invece fanno solo venire voglia di bombardare donne e bambini inermi con ordigni al fosforo mentre si giunge alla conclusione che Gengis Khan, Attila l’unno, Vlad Tepes l’impalatore, Caligola e Nerone erano dei grandissimi fighi.

Così, già che ci sono, escogito uno scherzo a mia volta: aspettare che la cerimonia abbia inizio per infilare un esemplare maschio e adulto di tigre siberiana all’interno della macchina nuziale, aspettare che i due tapini escano dalla chiesa, si accorgano che c’è un felide incazzato per il caldo intrappolato nelle vettrua che li dovrebbe portare al ristorante, quindi puntare il dito in loro direzione e ridere istericamente mentre un altro bastardo ubriacone – che, nel frattempo, si è scolato mezza secchia di prosecco perché non gli scendeva il culo di ascoltare il prete che faceva la predica sulla famiglia, i figli e le delizie della vita domestica – li sommerga di schiuma ignifuga con un estintore che si è fottuto in canonica mentre nessuno lo guardava. Quindi ridere ancora più istericamente mentre tutti i presenti rimangono allibiti e lo sposo si pente amaramente di aver invitato certa gente.

Ah sì, per rendere lo scherzo ancora più divertente, afferrare il prete, obbligarlo a vestirsi da Batman e…

…epifania di altri culi e, a questo punto, capisco che c’è qualcosa che non sta girando per il verso giusto. Sbarbe che ridono giulive perché tanto non hanno nessun problema (ed è giusto che sia così) e guardano le vetrine mentre io sbavo come un leopardo che ha appena abbattuto una gazzella. Cioè, aspetta ‘n attimo, è tutto ocappa, tutto gira per il verso giusto, è solo che non gira come al solito ma va benissimo uguale, hey!

Da dove saltano fuori tutte queste fighette a spasso per il centro commerciale proprio quando io devo comprare la pizza surgelata? Me ne passano altre due vicino, carnagione chiara, capelli scuri lisci, occhi di ghiaccio, sorridono e parlano una lingua che, a occhio e croce, non è inglese.

Fanculo a tutto l’universo, maledetti tutti, maledetta la Sacra Sindone! Io devo comprare la pizza surgelata, assolutamente, sono qui solo per la pizza surgelata! Be’, accagare la pizza surgelata, cioè no, ho sbagliato, la pizza surgelata è una roba ok, sono io che comincio a vedere i numeri sul visore come Terminator che deve fare fuori Sarah Connor prima che rimanga gravida e caghi il suo moccioso.

È Aprile e fa caldo come se fosse Giugno.

A me il caldo piace, è l’inverno che mi fa cagare rododendri.

La pizza con la mozzarella di bufala a fine cottura.

NOOOOOOOOOOOOOOOO!

Sono ovunque!

Mi circondano!

E tuttavia mi trovo in prossimità del freezer gigante con i prodotti surgelati.

Afferro due confezioni di pizza surgelata e corro in direzione della cassa, sguardo fisso sulle piastrelle dozzinali del pavimento.

Davanti a me altri due culetti spettacolari.

Sono in fila per pagare.

Le proprietarie delle chiappe da Guggenheim hanno acquistato un rotolo di nastro adesivo trasparente… e non m’invento davvero un cazzo.

Arriva il loro turno, la cassiera, svogliatamente, abbaia “Uno e dieci!”, quelle non capiscono, così lei indica il display e una delle due paga.

Quindi se ne vanno sorridendo e sculettando con le mie pupille che seguono il ballonzolare dei loro glutei marmorei.

– “È pieno di stranieri il finesettimana…”, mormora la cassiera, infastidita perché si rende conto che non avrà mai un culo così e che non l’ha avuto nemmeno in passato. Stupida inutile cogliona imbolsita.
– “Eh?”, faccio io con gli occhi puntati su quella meraviglia ballonzolante.
– “Per fortuna che non hanno comprato altro perché oggi mi è già capitato di dover mettere da parte merce che non potevano pagare perché avevano fatto male i conti e non avevano i soldi giusti.”, aggiunge.
– “I soldi giusti? Potrebbero chiedermi quello che vogliono…”, sussurro io, senza pensarci.
– “Quelle farebbero presto a svuotarti il portafoglio!”, la cassiera pare che abbia un ph che oscilla tra lo zero e lo zero punto sei.
– “Chi se ne strabicazzo frega? Sono ricco sfondato.”, dico io.

Poi torno in me e mi rendo conto che sto in effetti tenendo una conversazione con una perfetta sconosciuta che mi giudica un maiale schifoso sciovinista che ha scelto la mercificazione del corpo femminile come filosofia di vita.

Pago. Non saluto e me ne sfanculo via con le mie due confezioni di pizza surgelata.

All’esterno un bus con targa serba.

La Serbia è un grande paese.

E noi l’abbiamo bombardato.

Ciao.