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L’Origine Della Puttaneria

La notai appena lei volle farsi notare ma i miei occhi si erano posati su quella dea per ragioni del tutto diverse da quelle che normalmente attirano l’attenzione del maschio medio italico. Ero seduto al bar e indossavo la divisa standard del puttaniere in gita domenicale presso uno dei postriboli più popolari della Carinzia (il cui controllo della qualità è sottoposto a rigidissimi e severi standard nella più tipica tradizione germanica): accappatoio bianco e ciabattine igienizzate dello stesso colore, accessori questi forniti dall’azienda.

Lei si accomodò su uno sgabello accanto a me e, in tedesco, – lingua di cui non capisco nemmeno una parola – disse qualcosa alla barista tatuata che, dopo qualche istante, le porse un bicchiere di ice-tea. Ed ecco il particolare che catturò la mia attenzione: le unghie della silfide avevano dell’incredibile, mai visto niente del genere: ognuna di esse era decorata da un florilegio di stelline blu su sfondo giallo oro. Non potei fare a meno che afferrarle con delicatezza la mano e, dopo essermi sincerato che fosse in grado di (perlomeno) comprendere e parlare un po’ di inglese, rivolgerle la parola.

Non solo era in grado di esprimersi più che discretamente nella lingua della Perfida Albione, conosceva anche spagnolo e francese; in più si era rivolta alla barista in tedesco ed era originaria di Sofia. La somma totale, compreso il Bulgaro, faceva cinque. Cinque idiomi. Il che, per una ragazza di ventidue anni, merita esclusivamente rispetto.

– “Splendide unghie, davvero.”, le dissi, “Anche se sono finte, si fanno notare.”

– “Non sono finte, me le ha decorate così un estetista molto abile.”, la sua voce era velluto, “prima ha steso uno strato di smalto dorato che fa da sfondo, poi con delle piccolissime sagome, ha ricavato le stelline.”, sorrise.

A dire il vero il dialogo non andò esattamente in questo modo ma, tuttosommato, è più o meno la spiegazione che mi diede.

A quel punto il mio sguardo si era spostato altrove e mi ero reso conto di avere di fronte un’autentica opera d’arte delle geneteica: lunghi capelli corvini, carnagione scura, occhi color ametista, vita sottile, seno assolutamente perfetto sul quale nessun chirurgo era ancora intervenuto a rovinare irrimediabilmente l’opera di Dio; all’apice delle coppe, capezzoli delle dimensioni di una perla rara le cui areole sfumavano in un tenero terra di Siena bruciato; più in basso una scia di stelline nere tatuate decorava la parte sinistra del suo invitante e tonico ventre piatto.

Seppi di essere pazzo di lei fin dal primo istante. Le chiesi se fosse impegnata con qualche sacco di merda che l’avrebbe resa triste, miserabile e infelice; nel qual caso le assicurai che ero disposto ad ammazzarlo con le mie stesse mani senza pensarci due volte.

Sorrise divertita.

Aggiunsi che purtroppo, da idiota senza cervello quale mi trovo a essere, avevo dimenticato a casa la fascetta di oro rosso sulla quale un artista orafo di Valenza aveva incastonato un brillante purissimo da tre carati. Mi giustificai asserendo che comunque si trattava solo di una questione di tempo dato che avrei potuto recuperare il gioiello entro poche ore, inginocchiarmi al suo cospetto e chiederle di diventare mia moglie.

Rise ancora più divertita!

Razza di crudele stronza cogliona priva di cuore!

Io, come William Butler Yeats, avevo steso i miei sogni ai suoi piedi ma lei li stava calpestando senza curarsi di ciò che provavo.

Continuava a ridere e diceva che ero simpatico.

D’accordo, parlava cinque lingue e tutto il resto ma, a occhio e croce, non era in grado di capire che stavo facendo sul serio e che ero davvero disposto a offrirle una vita diversa e migliore al mio fianco… sì, voglio dire, non sono mica geloso e merda del genere: ero talmente innamorato di lei che le avrei permesso di continuare a farsi scavare la fregna per soldi se quello era proprio ciò che le andava di fare. Cioè, in fin dei conti quasi un secolo di lotta sociale ha permesso alle donne di scegliere la carriera che preferiscono senza che noi maschietti possiamo pronunciare una singola sillaba, ok?

Magari la nostra fidanzata/moglie ha deciso di fare il muratore e tutti i nostri amici alcolizzati al bar ci prendono in per il culo senza pietà… “HAHAHAHAHA! Tua moglie tira su condomini con la cazzuola, gnegnegnegnè!” ma noi zitti e mosca perché è il 2010, quasi il 2011, e non stiamo più dietro un aratro… e nemmeno davanti.

Ma poteva anche essere che magari si fosse resa conto che stavo facendo sul serio e l’avesse buttata in ridere per far finta di niente e non spezzarmi il cuore. Già, chissà com’è andata effettivamente la storia, cazzo ne so io?

Oh be’, ad ogni buon conto, quando si riprese dalla crisi di riso isterico, mi disse che lei proveniva da una famiglia i cui usi erano stati severamente scolpiti attraverso l’impiego di solidi e antiquati principi; non è che poteva arrivare il primo stronzo random col cazzo in tiro in un bordello della Carinzia e le potesse chiedere la mano così sportivamente; niente da fare, amico.

Lei, prima di sposarsi, aveva intenzione di far passare un bel po’ di tempo per conoscere bene la persona con cui aveva a che fare, eccetera, ok? Inoltre specificò che, per assicurarsi che i nostri caratteri fossero pienamente compatibili e in perfetta sintonia, mi avrebbe costretto a passare Natale e Capodanno con la sua famiglia in Bulgaria. Aggiunse che, mentre per la madre non c’erano problemi di alcun genere perché aveva altro a cui pensare (il suo hobby era giocare a poker con le vicine di appartamento), per ottenere il consenso del padre, sarei stato sottoposto ad alcuni durissimi test di natura psico-fisica. Il padre, infatti, era un ex agente del KGB di Odessa e si era trasferito a Sofia negli anni ottanta per motivi di lavoro; nella capitale Bulgara aveva conosciuto la madre e blablablabla, solite stronzate di cui non poteva fregarmi di meno. Infine aggiunse che, se per me fosse stata una rotta (non “rottura”, “rotta”, proprio nel senso di “breccia”) di coglioni troppo grossa, be’ potevo sempre tirare fuori sessantacinque euri e diventare il suo ragazzo per una mezz’oretta. Ci pensai su per qualche istante e il mio senso pratico, scolpito da anni di incondizionata adesione alla scuola filosofica del pragmatismo anglosassone, ebbe la meglio sul purissimo sentimento che provavo per lei da sì e no cinque minuti o anche meno. Così sputammo sui palmi delle nostre mani prima di unirle in una solida stretta di mutuo consenso, proprio come fanno tutte le persone civili che giungono a un accordo o firmano un contratto di qualsiasi genere.

Quindi la dea dell’Est scese aggraziata dallo sgabello e mi guidò a una rampa di scale che conduceva al piano superiore, mi indicò una parete sulla quale erano appese alcune chiavi e mi invitò a scegliere una camera tra quelle ancora disponibili. Esclamai, grattandomi la nuca, “Fanculo, cazzo me ne frega della camera? Prendi un po’ quella che merda ti pare, tanto a me?”, solo in inglese. Lei, non smettendo di sorridere divertita, afferrò una delle chiavi e s’incamminò ancheggiando lungo il corridoio facendomi segno di seguirla.

“Culo a norma iso9001…”, pensai osservandola incedere maestosamente.

Finimmo in un piccolo ma attrezzatissimo e confortebole ambiente: letto con materasso ricoperto di morbido lattice, schermo al plasma da 32 pollici sul quale scorrevano video musicali con le hit del momento, angolo doccia-wc, luci soffuse appena sufficienti per non sbattere la testa contro il muro, soffice moquette viola, cartello con su scritto “Vietato fumare altrimenti ti facciamo il culo!” in sei lingue.

Mi persi in ciò che la fanciulla aveva da offrire, nel paradiso che albergava tra le sue cosce. Mi tuffai a capofitto tra le sue accoglienti braccia urlando entusiasta “IBIZA!

Dato il lungo periodo di astinenza di cui avevo sofferto negli ultimi mesi, mi aspettavo di durare non più di una quindicina di secondi. In realtà andò meglio di quanto avessi inizialmente creduto… per lo meno all’inizio. Nel senso che, pur temendo di stabilire il nuovo record mondiale di aeiaculatio praecox, tutto cominciò a girare per il verso giusto, trovai il ritmo adatto e cominciai a servire alla mia nuova amica bulgara una più che discreta dose di su e giù.

Presi a sudare copiosamente e decisi di cambiare posizione per comodità. Ma, nella furia dell’entusiamo di entrambi, accadde ciò che non sarebbe dovuto accadere: estrassi il mio arnese e feci in modo che la fanciulla si mettesse a quattro zampe davanti a me per poterla meglio cavalcare. Lei allungò la mano, attorcigliò le sue dita affusolate sul mio spiedino dell’amore e la punta di una delle sue unghie finemente decorate si conficcò nella cute del mio scroto.

– “PORCACCIA DI QUELLA PUTTANONA STRONZA DI MERDA RIPIENA DI STRONZI RICOPERTI DI ALTRETTANTA MERDA!”, urlai; calde lacrime scendevano dai miei occhi.

– “Cosa è successo?”, mi guardò spaesata e preoccupata.

– “COSA È SUCCESSO? MI HAI PUGNALATO I COGLIONI, ECCO COSA CAZZO È SUCCESSO! CRISTO DI UN DIO! RAZZA DI RAPACE, AVVOLTOIA, ASTORE, FOTTUTA CONDOR RITARDATA CHE SCAMBIA CAZZI PER RATTI SELVATICI!

– “Oh mio Dio… sanguini!”, si coprì la bocca con una mano.

– “E cosa ti aspettavi che facessi dopo che mi hanno ficcato uno stramaledetto stiletto sullo scroto?”

Si alzò, si precipitò all’angolo doccia-wc, srotolò un po’ di carta igienica e tornò da me, quindi mi tamponò la ferita come meglio poté.

– “Davvero un brutto taglio…”, osservò, “Mi dispiace tanto…”

– “Oh non fa niente! Pensi che dovranno mettermi dei punti e che un giorno avrò comunque un erede?”, ero preoccupato.

– “Niente affatto, niente punti e il tuo erede non è in pericolo.”, sorrise per farmi coraggio. “Però, fossi in te, oggi smetterei di… come dire… darci dentro. Intendiamoci: tutte le mie colleghe sono sanissime e si sottopongono a visite mediche ed esami ematici con regolarità… tuttavia è sempre meglio non rischiare che qualche umore ti finisca proprio lì perché… be’, perché non si sa mai…”, avrebbe potuto essere una madre premurosa che raccomanda al proprio figlio di non fare nulla di avventato quando lei non c’è. Insomma, nonostante la goffa sbadataggine con cui maneggiava uccelli, era comunque tutto ciò che un uomo può cercare.

Intendo dire che, se qualcuno volesse condannare il sesso a pagamento perché è un modo come un altro per degradare la condizione femminile e fare di un essere umano nient’altro che merce, be’, credo che sia il caso di mandarlo/a a defecare sull’onda del mare e anche alla svelta.

E cercherò di spiegarmi meglio: come tutti là fuori, tranne qualche caso disperato, anche io sono uscito con ragazze, per così dire, “normali”, fanciulle cresciute in una famiglia rispettata e tutto il resto, ok? Con ogni probabilità sono stato più sfortunato di altri e/o, più in generale, sono una persona difficile dotata di un carattere piuttosto aspro o qualcosa del genere; fattosta che, quasi sempre, dopo i primi giorni, le prime settimane, il primo mese, ho dovuto fare i conti con paranoie ingestibili, con gente che pretendeva che modificassi il mio stile di vita per adattarmi al loro e con una montagna di cazzate isteriche. Ora, sono perfettamente cosciente del fatto che è necessario sviluppare una certa capacità di adattamento e accettazione del prossimo nel momento in cui si decide di instaurare un rapporto con qualcuno, tuttavia non ho mai avuto alcun problema ad accettare il fatto che la femmina che sta con me sia perfettamente in grado di gestirsi da sola e uscire con le sue amiche tutte le dannatissime volte che desidera farlo; d’altra parte io, se faccio un’innocua capatina all’osteria con i miei conoscenti e magari capita che torno a casa con la camicia macchiata del mio stesso vomito, un alito che è tutto un programma e un fastidiosissimo mal di testa, devo anche subire una solenne sventrata di coglioni da parte di una ebete rintronata che continua a intonare il karma del ragazzino che non vuole crescere. Fanculo! Mica mi sono mai lamentato, io, perché lei perdeva sangue da in mezzo le gambe e di scopare non se ne parlava nemmeno. Mai detto niente manco quando mi trascinava al centro commerciale a perdere ore guardando scarpe assurde con prezzi ancora più surreali. Mai fiatato. In fin dei conti lo facevo perché speravo che, alla fine, la femmina con cui mi accompagnavo in quel momento storico mi avrebbe permesso di svuotarmi senza menarmela più di quanto fosse necessario. Ma, guarda un po’, nella maggior parte dei casi, mi sbagliavo di grosso.

Ho capito troppo tardi che si trattava di un problema senza soluzione, qualcosa di legato al fatto che Dio, dall’alto della sua onniscienza, si era lasciato sfuggire un particolare. In poche parole il Padreterno ha combinato una cazzata mica da poco: ha creato l’uomo facendo in modo che fosse costantemente impegnato a elaborare strategie per riuscire a infilare l’uccello in qualsiasi pertugio umidiccio… mentre la femmina, da parte sua, è cosciente di avere qualcosa tra le gambe a cui quasi tutti i maschietti puntano e, invece che esserci riconoscente per averle donato una delle nostre costole gratis, ha cominciato a porre una serie di paletti del tutto fini a se stessi prima di concedere l’utilizzo promiscuo della sua crepa umida.

Grazie, Dio, no davvero: grazie, eh?

Però l’uomo è stato dotato di capacità di adattamento così, da lì al meretricio, il passo è stato invero brevissimo.

E vediamo come sono andate le cose di preciso.

Un proverbio della mia zona recita così: “Quando l’acqua sfiora i glutei, tutti diventano improvvisamente e inaspettatamente Massimiliano Rosolino.”, ok?

Ebbene, qualche cazzigliaio di anni fa, c’era un gruppetto di primati che deambulavano per una giovane Terra con la loro clava sulle spalle. Dopo aver speso un’intera giornata spezzandosi la schiena a cacciare mammuth o pterodattili o quello che cazzo si mangiavano quegli stronzi a quel tempo, cominciarono a scambiarsi pacche sulle spalle.

– “Indovina un po’?”, grugnì uno di loro, “Stasera io e quel gran pezzo di scimmiona che divide la caverna con me ci facciamo una super sgroppata! La prendo per coda e le pianto il mio banano dritto nel suo canyon dell’amore e, se mi va, magari anche la clava nel culo! Proprio così! La clava nel culo, hahahaha! Hey, amico, passami quella coda essiccata di trilobita che mi tolgo un po’ di merda dalle orecchie.”

Erano contenti, i nostri antenati preistorici, magari stanchi e affaticati, ma privi di pensieri: quella sera avrebbero scopato e poi si sarebbero addormentati su una pelle di allosauro o di qualche altro bastardo preistorico. La vita era dura, d’accordo: non c’erano birra, pop-corn, salsicciotti, Sky e nemmeno “Novantesimo Minuto” ma, tutto-sommato, era ok.

Senonché, una volta giunti a casa, ebbero una spiacevole sorpresa e dovettero affrontare la dura realtà: le scimmione fecero infatti loro sapere che erano rimaste in piedi tutto il santo giorno a sbattere zanne di mammuth su alcune bacche per ricavarne una sbobba immonda, a causa di questa attività assolutamente inutile, era loro venuto mal di testa; in più anche i mocciosi babbuini avevano frignato senza sosta e cagato dappertutto così loro, solo a ripensarci, avevano ancora più mal di testa di dieci secondi prima e quindi vaffanculo fatevi una sega e non rompeteci la cazza e vaffanculo un’altra volta.

I poveri primati si erano perciò mestamente accucciati a terra, disponendosi a cerchio, proprio come nella scena iniziale di “2001 Odissea Nello Spazio” quindi, in preda alla frustrazione, avevano cominciato a spaccare crani scarnificati di triceratopo con tibie di velociraptor finché qualcuno di un altro branco si era avvicinato e aveva fatto loro sapere che, in una grotta lì vicino, c’era una macaca la quale, in cambio di un paio di filetti di diplodoco e tre ananas, avrebbe allargato le zampe senza troppe paranoie e avrebbe addirittura arruffato la peluria delle loro affatticate schiene con i suoi muliebri piedini dotati di agilissime dita prensili.

– “Vuoi dire che io do a questa femmina un paio di stronzate che non mi servono e quella mi fa scopare senza rompermi i coglioni quando decido che ne ho abbastanza e mi va di spulciarmi il collo con gli altri ragazzi?”, grugnì uno dei primati, incredulo.

– “Proprio così; pensavo che lo sapeste già.”, rispose cameratescamente il nuovo arrivato.

– “Mi prendi per il culo? Esiste davvero una cosa del genere?”

– “Certamente, a nemmeno cinque minuti di liana da qua.”

– “E noi che ci siamo rotti i coglioni con le nostre oranghe per tutto questo tempo…”, esclamò un ramapiteco in fondo.

– “Non farmici nemmeno pensare…”, gli fece eco un altro scimpanzè.

Pacche sulle spalle, scambi di occhiate complici, veloce inventario di ananas e filetto di diplodoco e poi di corsa sulle liane per far visita a questa intraprendente gorilla.

Ed è così che nacque la puttaneria… volevo dire la prostituzione, la mercificazione del corpo della donna e tutte quelle stronzate con cui le femministe si riempiono la bocca invece di usarla per cose davvero utili. E tutto perché sono perfettamente coscienti che il meretricio altro non è che una forma di logorio lento ma inesorabile del potere intrinseco della vulva… a vantaggio nostro, s’intende.

Per quanto mi riguarda, sono fermamente convinto che la pratica della scopata mercenaria sia solo un modo come un altro per evitare che la società civile così come la conosciamo vada a putt… volevo dire “a rotoli” una volta per tutte. Ci sono certamente un sacco di individui che preferiscono venire a patti con le femmine: portarle fuori a cena il finesettimana, scartavetrarsi i coglioni il sabato pomeriggio all’ipermercato, fare sforzi sovrumani per non addormentarsi al multisala mentre si assiste alla proiezione di un film con Hugh Grant e Julia Roberts e, più in generale, affidarsi alla propria buona sorte sperando di capitare tra le gambe alla squinternata di turno… ma, il più delle volte, gli va tutto storto e va a finire che si rifugiano nell’onanismo… già perché, anche se in pochi sono disposti ad ammetterlo, scopare è comunque l’equivalente di un biglietto fortunato del gratta & vinci: tu spendi soldi per comprarlo, speri di mettere in tasca un po’ di grana ma, nel 95% dei casi, sono soldi buttati e frustrazione.

Quindi, per come la vedo io, è meglio farsi perforare lo scroto dalle unghie meticolosamente decorate di una professionista dell’Est.

Si paga e si ottiene un servizio.

E quel servizio è una certezza.

E, di questi tempi, con la crisi economica, il governo che sta per cadere, il terzo polo e tuto il resto, le certezze non crescono sugli alberi.

Magari è meglio ricordare di portarsi dietro un paio di guanti foderati con piumino d’oca… ma soprattutto: io non sono misogino, sono solo obiettivo.

Divertimento assicurato per tutta la famiglia

Qualche mese orsono ho descritto grossolanamente, consigliandone la lettura, “Castaways” di Brian Keene, un discreto romanzetto splatter che prende molto allegramente per il culo il format de l’Isola Dei Famosi (se fossi un blogger figo del tutto scevro di pigrizia, andrei a spulciare l’archivio e linkerei tutto; be’, scordatelo.).

Ebbene, prima che la vicenda narrata in “Castaways” venga elegantemente raccontata nelle pagine del romanzo, c’è un’introduzione (o forse è una postfazione? Boh, cazzo ricordo io… voglia di alzarmi e prendere il paperback per controllare non ce n’è, proprio non mi scende il culo di farlo, sorry.) dove l’autore ringrazia sentitamente colui che l’ha insipirato: il defunto Richard Laymon. In pratica dice che lui è una nullità a confronto e che tutti gli appassionati di horror dovrebbero procurarsi una copia di “The Cellar”.

Da parte mia, ho lasciato passare qualche mese quindi mi sono fiondato su play.com e, per la modica cifra di nove euri e novantanove centesimi, mi sono procurato questo:

Bestiacasa

Un bellissimo volume di 885 pagine che, assieme a “The Cellar”, contiene anche gli altri due romanzi che compongono la trilogia della Casa Della Bestia.

A quanto ne so, il primo romanzo della serie è stato pubblicato anche in Italiano da Fanucci, tuttavia sono pronto a scommettere il culo che non sia stato ristampato in tempi recenti; quindi o lo si legge in inglese o ciccia.

Allora, no? Premetto che il sottoscritto è abituato a sconcezze e porcherie letterarie di ogni genere MA il marciume che si trova all’interno del volume di cui sto per parlare è sinceramente qualcosa che “va oltre”.

Letteralmente.

Mi spiego meglio: ho letto “American Psycho” quando ero poco più che uno sbarbo e ho quasi lasciato lo stomaco sul tappeto una volta imbattutomi nel capitolo “Canicidio”, d’accordo?

Il fatto è che il libro di Ellis è davvero scritto bene, c’è una maledettissima ricercatezza nello stile, si capisce subito che non si ha a che fare con l’opera di un redneck autodidatta venuto su a patate e braciole (hey: patate e braciole sono robabbuona). In più l’autore – Ellis, dico – è uno scavaculi amante della fabbrica del cioccolato ergo, se si uniscono omosessualità, talento e scrittura ricercata, c’è una non remota probabilità che i critici possano andare in broda totale anche se si ha a che fare con “American Psycho”, al di là del contenuto dello stesso (che, per inciso e a costo di essere ridondante, è di qualità oro… non scherzo un cazzo), non so se mi spiego.

Be’, gente, “The Beast House Trilogy” è puro tombino, merda totale, un pozzo nero a cielo aperto, schifo concentrato, un frullato di topi di fogna semi-decomposti con i vermi che ci sguazzano dentro godendosela alla grandissima, un coacervo di marciume compresso, sborra di maiale andata a male… in poche parole: porno-gore-grind letterario di primissima qualità. Roba figa.

Di più: Richard Laymon, in vita, non era nemmeno culattone e, tra le righe, si intuisce che sia stato un bastardo figlio di troia puttaniere che se la godeva un sacco (non sono andato alla ricerca di cenni biografici che lo riguardano su internet… perciò può anche essere che Dick sia stato una personcina a modo, un marito fedele nonché un padre responsabile e amorevole, cazzo ne so io? In ogni caso, per quello che vale, – e mi ci gioco il contenuto del barattolo di latta per spiccioli che tengo sopra il pianoforte in soggiorno – sono quasi certo che lui e Bukowski, se si fossero conosciuti, sarebbero stati culo & camicia).

Bon, la trilogia, no? Allora, adesso non è che voglia star qua a raccontare la vicenda e tutto quanto, fattosta che è praticamente impossibile fare a meno di fornire qualche cenno sugli accadimenti narrati nei tre capolavori della letteratura contemporanea in oggetto, ok? In pratica sto per spoilerare a tutta forza.

C’è questo paesotto in California – Malcasa Point – dove sorge una scassatissima e spaventosa catapecchia divenuta museo dell’orrore. All’interno, in anni passati, si sono compiuti atti orrendy, turpyssymy e molto molto pornogrind.

I turisti la visitano ogni giorno pagando cinque dollari a cranio perché pare che gli stronzi che vi si aggirano di notte per curiosità muoiano in modo divertentissimo: gambe staccate sul pavimento, cervello sulle pareti, globi oculari spiaccicati sul soffitto, mani in culo a cadaveri mutilati e tutto il resto.

E chissà chiccazz’è che organizza questo allegro festival di frattaglie? Mah… Te lo dice lo zio BastaConLaDroga perché tanto il mistero è svelato fin da subito anche nel libro, HA!

Fa’ conto che nella casa della bestia vive una specie di scimmione con zanne lunghe un paio di dieci centimetri che si chiama Xanadu. ‘Sto bastardo lovecraftiano si scopa la vecchia marcia – quella che, di giorno, gestisce il business turistico delle visite guidate, per intenderci – da un merdadiddio di anni… e a quella piace un sacco il suo cazzo mutante perché è nient’altro che una luridona invertita che ha tirato su una manica di mocciosi spastici che la aiutano nella gestione del business turistico.

Ah sì: c’è anche una che è scappata di casa perché ha saputo che il marito pedofilo molestatore che la riempiva di pugni e scarpate in bocca ogni sera è appena uscito dal carcere e, sì insomma… col cazzo che lo vuole di nuovo in mezzo ai coglioni. Così prende la figlioletta, fa le valigie e mette le gambe in spalla alla velocità della luce ma, porca di quella zozza smutandata!, finisce proprio a Malcasa Point, hahahahahaha… stronza di una cogliona! DE-FI-CIEN-TE!

Insomma, quella brava personcina del marito se ne torna all’ovile dopo aver passato il periodo migliore della sua vita in galera ma non trova un cazzo di nessuno. Allora s’incazza come una biscia e si mette alla ricerca della fedifraga inculandosi tutte le ragazzine minorenni che gli capitano sotto tiro, a partire dalla nipotina dodicenne… a cui, naturalmente, prima ammazza papà e mamma (dopo averla violentata, s’intende), poi brucia la casa con dentro i cadaveri. Ah, si porta dietro la mocciosa per divertirsi lungo il tragitto.

Ho narrato solo un ventesimo di quanto si trova all’interno de “The Beast House Trilogy” quindi sono certo di non aver rovinato la sorpresa a nessuno.

Buona lettura muscolosa!

È ancora il 1986

Quando ero uno sbarbo, andava di moda l’hair metal e io non mi facevo scappare nemmeno un disco made in L.A. (o di quelli che facevano finta di essere made da quelle parti ma, in realtà, si cotonavano i capelli in Finlandia); ce li avevo proprio tutti e non sto parlando solo di Dokken, Ratt, Motley Crue, etc., io posseggo vinili e CD di Tangier, Helix, Shy, Icon, King Kobra, Heaven’s Edge, Dan Reed Network e un sacco di altra porcheria capellona.

In pratica funzionava così: andavo al negozio di dischi del mio paese e scartabellavo tra le novità finché trovavo l’ennesimo mucchio di merda iper-prodotta – magari da Beau Hill o Neil Kernon – me lo portavo a casa… e me lo facevo piacere per forza. Gran bei tempi, quelli, eccome.

Poi sono iniziati gli anni ’90 e il grunge ha ucciso tutto quello che mi piaceva. D’accordo: ci sono stati alcuni deboli tentativi da parte di gruppetti minori (Firehouse per esempio) di riportare in vita un genere che era stato sepolto qualche mese prima ma, ahime, è andato a finire tutto nel letamaio mentre i teenagers degli anni ’90 si deprimevano e si tagliavano le vene con Nirvana, Smashing Pumpkins e altra merda vomitevole peggio dei Trixter.

Be’, proprio quando cominciavo a pensare che fosse tutto davvero finito, mi sono capitati tra le mani due CD che hanno rimesso tutto in gioco ri-scaraventandomi nel Sunset Boulevard della metà degli anni ’80… e questi stronzi figli di puttana non sono nemmeno statunitensi, si tratta di due band che vengono dalla Culoghiacciolandia (Svezia).

Sto parlando di Crazy Lixx e Treat.

I primi sono più giovani, hanno all’attivo solo due album e un mini… cioè: non è che mi sto sparando le pose e faccio finta di sapere vita morte e miracoli dell’ultimo bastardo che pubblica un disco, niente affatto. Sono andato a spulciare il loro sito e ho dato un’occhiata alla discografia, tutto qui.

Il primo disco dei Crazy Lixx si intitola “Loud Minority” ed è in corso di scaricaggio sul mulo; il secondo (e ultimo) invece è questo:

E, vacca di una merda, spacca spietatamente tutti i culi dell’universo. Questi Crazy Lixx, anche se hanno scelto un nome più scemo del culo di un asino, hanno talento sul serio e si sente che hanno speso soldi per produrre il loro disco.

La prima canzone, “Rock And A Hard Place” mi ha piallato le chiappe a partire dal primo riff; ero scettico, per carità; pensavo “Probabilmente questi culighiacci hanno piazzato l’unica canza trita-ani all’inizio per depistare l’ignaro acquirente…”

E invece, fortunatamente, mi sbagliavo di grosso dato che l’intero CD tiene il maglio-da-culi a portata di mano e lo stesso viene impiegato generosamente e senza alcun genere di remora morale, ha!

Per esempio, in questo momento, sto ascoltando la traccia numero sette, “The Witching Hour”… e, porcaccio rumina-ghiande sia detto il Signore urbis et orbis (bestemmia di entusiasmo e felicità), è veramente il paradiso dell’hair-metal: chitarroni pompatissimi, batteria in faccia, assoloni melodici a base di pentatoniche con synth-pad in sottofondo, cori giganteschi e finale in doppia cassa. Cioè: mi è venuto duro.

E i titoli delle altre canze? Aaaaahh… sì, ancora, baby! My Medicine (R.O.C.K.), 21 Till I Die, Road To Babylon, Voodoo Woman, Lock Up Your Daughter… tutta roba socialmente poco impegnata e molto sciovinista, praticamente Kip Winger nel 1988 in overdose di testosterone. Ascoltare ‘sta roba fa venire voglia di fare un giro su rotten.com a dare un’occhiata al cranio aperto di Kurt Cobain e ridere di gusto mentre ci si scatena con l’air-guitar e l’air-drumming. Baciami il culo, Kurt! Viva il rock capellone, ignorante e misogino come il porco iddio comanda.

Il secondo disco di cui voglio parlare è questo:

I Treat hanno pubblicato una serie di dischi che più hair metal di così si muore nel corso della seconda metà degli anni ’80, tutta robabbuona (per chi ama il genere). Al tempo erano giovini (con la i), alti, con lunghe chiome bionde fluenti più occhio ceruleo così tutte le squinzie si bagnavano con estrema facilità ogni volta che li vedevano su MTV.

Adesso che sono passati un po’ di anni, invece, hanno questo aspetto…

Il che fa abbastanza ridere.

Tuttavia, anche se il look è quello che è, loro continuano a divellere culi in gran scioltezza.

I Treat si sciolsero nel 1992 perché, sempre a causa di quattro scarponi foruncolosi con mantelline di flanella a quadrettoni che facevano gli alternativi depressi, si sposavano con quella sgrillettata di Courtney Love e, alla fine ma comunque sempre troppo tardi, si sparavano in testa con un fucile, anche in Svezia non se li cagava più nessuno. Poi, nel 2006, tornarono assieme per una serie di concerti e fecero uscire un best of intitolato “Weapons Of Choice” e il remaster del loro primo disco “Scratch And Bite” corredato di live-DVD “At The FireFest”.

Quest’anno hanno pubblicato un nuovo CD dal titolo di Coup De Grace e, naturalmente, si fa riferimento agli ani deflagrati senza pietà di coloro che ascoltano.

Anche in questo caso, come per i Crazy Lixx, la produzione è da soldi e le canze sono quanto di meglio si possa ascoltare dal 1989 a oggi: rock capellone suonato da cinquantenni che non vogliono crescere. Per dire: ogni volta che ascolto “All In”, pompo il volume al massimo, poi mi viene voglia di farmi ricrescere i capelli come l’anno scorso, di vestirmi con spolverini glitterati fuscia, stivali a punta di finta pelle di serpente e di andare al piazzale Marcolin a Pordenone per fare lo spandone con un boombox Pioneer… e pensare che non sono uno scavaculi.

At the end of the day, quello che davvero conta è che questa gente sa davvero suonare e cantare come la Porcheria Divina prescrive; in più, dal vivo, non sono un bluff come molte band degli anni novanta… infatti:

http://www.youtube.com/v/XJA8BwpdWRY&hl=it_IT&fs=1&rel=0&color1=0xcc2550&color2=0xe87a9f&border=1

E anche se sono diventati dei panzoni immondi e non piacciono più alle femmine come negli anni ottanta… be’, guardatevi il video che, d’accordo, qualitativamente parlando, fa cagare mosche in volo; tuttavia questi malridotti biondi dalla Culoghiacciolandia spaccano schiene, musi e braccia come una volta.

L’hair metal è morto, viva l’hair metal.

PS = Ho terminato di scaricare il primo disco dei Crazy Lixx. È figo, non come “New Religion”, ma è figo lo stesso.

PPS = Anche i Ratt hanno appena pubblicato un CD intitolato “Infestation”. Non mi dice un cazzo. Warren DeMartini ha ancora il porcodio nelle dita, ok, ma non ci siamo.

Metalz Remics, 110 & lode con bacio accademico

È bello conoscere gente a cui non passa un cazzo perché, al momento, non ha niente di meglio da fare così impiega il proprio tempo in modo creativo… e se ne esce con capolavori del genere.

Onore & gloria a Filippo De Vecchi, il chitarrista METAL assoluto del Triveneto che però si spara le pose da funkyjazzaro del cazzo perché vuole apparire intellettuale e ricercato.

Caro Pippo, tu sai che all’interno delle tue vene scorre acciaio cromato 18/10, non combattere la tua identità metal: è solo energia sprecata.

Siore & siori, il capolavoro remix del 2010.

http://www.youtube.com/v/AbJUnKTbVtA&hl=it_IT&fs=1&color1=0xcc2550&color2=0xe87a9f&border=1

Storiacce (consigli per gli acquisti)

Sto per scrivere quattro cazzate su tre libri che ho letto negli ultimi due mesi.

Si tratta di titoli che ho ordinato nella loro edizione inglese; due di questi non sono disponibili in lingua italiana ma si possono comunque ottenere – qualora non siate delle bestie incapaci di leggere nella lingua della Perfida Albione, s’intende – attraverso il vostro rivenditore internettiano di carta stampata di fiducia (leggasi amazon.co.uk e play.com; consiglio il secondo dato che le spese di spedizione sono comprese nel prezzo).

Parto da…

“Castaways” di Brian Keene; si tratta di un horror-splatter che, con ogni probabilità, sarei in grado di scrivere anche io: parolacce, morti fantasiosamente ammazzati in gran quantità e una non trascurabile dose di humor nerissimo e molto grossolano.

La storia è semplicissima: c’è un gruppo molto eterogeneo di bastardi che partecipa a Survivor, anzi no… il programma si chiama “Castaways” ma è comunque l’equivalente de “L’Isola Dei Famosi” solo che, in questo caso, i concorrenti non li conosce nessuno… sì, a dirla tutta, anche quelli del format che va in onda sulla TV di Stato per la quale si paga il canone non è che siano esattamente delle celebrità… insomma, alla fine, è proprio la stessa merda, dai.

Bon, tra i naufraghi ci sono anche Richard Christy e Sal Governale (che poi è la ragione per cui ho acquistato il paperback).

Insomma, appena questi stronzi mettono il piede sull’isola, oltre al mare color smeraldo, al panorama mozzafiato tipico dei Caraibi e a un tifone (di cui il network non dice un cazzo perché così i naufraghi si trovano in mezzo al casino senza saperlo e si fa più audience) che sta per investire la quiete del gruppetto, la compagnia si trova subito nella merda fino al collo perché uno di loro è un terrorista che fa immediatamente fuori due cameramen e l’isola non è deserta nemmeno un po’. Anzi: è piena di primati mutanti piuttosto aggressivi che considerano la carne umana una leccornia e hanno il cazzo perennemente in tiro. In pratica queste scimmie guaste si accorgono di avere a disposizione provviste a sufficienza per mandare la transaminasi in orbita e un bel po’ di fighe bollenti da scopare.

In parole povere: tutto ciò che ognuno vorrebbe succedesse appena ci si sintonizza sul day-time de “L’Isola Dei Famosi” e si vede Vladimir Luxuria che cerca con scarso successo di nascondere il cazzo anchilosato all’occhio vigile delle telecamere subacquee.

Ho terminato “Castaways” in circa tre giorni, quindi suppongo sia robabbuona.

“The Long Hard Road Out Of Hell” è l’autobiografia scritta a quattro mani da Brian Warner (altrimenti conosciuto come Marylin Manson) e Neil Strauss.

Neil Strauss, oltre a essere un giornalista americano che ha lavorato per alcune testate mainstream statunitensi e uno dei più famosi pick-up artists del Globo, è anche il genio che ha scritto “The Dirt” (la biografia dei Motley Crue) nonché il libro che recensirò subito dopo questo.

In realtà, le biografie di rockstars sono per me una scoperta piuttosto recente; nel senso che il primo libro del genere che ho letto risale al 2002 ed è “Kiss & Make-Up” di Gene Simmons.

Da lì in poi, ho cercato di mettere le mani su tutto ciò che narra di droga, scopare, misantropia, camere d’albergo distrutte, televisori che volano fuori dalla finestra e groupies ninfomani. Perché? Perché è un sacco divertente e istruttivo.

Com’è ovvio, nella mia frenesia da Circolo Pickwick, mi sono imbattuto sia in capolavori termonucleari-globali (White Line Fever, Fucked By Rock, Please, Kill Me! etc.) che in rancida merda illeggibile tipo i libri di Neil Peart che fanno scendere lo scroto all’altezza delle caviglie.

Eviterò di parlare nuovamente di “The Dirt“; mi limiterò a ripetere che è, a mio modestissimo avviso, l’apice della sintesi del concentrato del vertice della fighezza in forma di libro. In poche parole: anche se non si capisce una parola di inglese, si tratta di un’opera imprescindibile e va letta-punto.

Be’, “The Long Hard Road Out Of Hell” non è da meno.

C’è di tutto: si va dal nonno pervertito (diventato afono a seguito di un intervento per rimuovere un cancro alla gola) collezionista di dildi ricoperti di sostanze innominabili che si fa le seghe in soffitta mentre fa andare il trenino elettrico, ai più incredibili trip acidi, alle groupies sorde ma con un bel paio di tette nel bel mezzo di un allegro festival di bukkake.

Insomma: divertimento per tutta la famiglia.

Anche “Emergency” è un’opera di Neil Strauss.

In questo caso non si ha a che fare con rockstars intossicate che si drogano abbestia e scopano tutto quello che si muove, bensì con una specie di manuale per la sopravvivenza in forma di diario.

Si narrano vicende che vedono l’autore protagonista impacciato di corsi di sopravvivenza al limite della resistenza umana; si elencano le non trascurabili spese sostenute per ottenere un secondo passaporto dell’isola di St. Kitts; ci sono resoconti di incontri con personaggi per lo meno discutibili ai vertici di sette religiose e di gruppi di estrema destra, si parla di una società con sede in Arizona che, se proprio vuoi farlo, iberna il tuo corpo e lo conserva fino a quando scoprono una cura per il tuo male incurabile (tu in cambio devi pagare un sacco di soldi e non è detto che, alla fine, riescano a risvegliarti dato che il tuo sangue è stato sostituito da liquido criogeno)… ma soprattutto si ha un quadro piuttosto chiaro di cosa siano diventati gli Stati Uniti d’America a seguito degli attentati del 9 Settembre 2001 e delle due amministrazioni Bush.

Insomma: vuoi conoscere (non imparare) tutti i possibili impieghi di un coltello? Vuoi sapere come si fa ad aprire un lucchetto semplicemente impiegando una lattina di soda vuota? Vuoi sapere come ricavare acqua impiegando un foglio di nylon trasparente, una pietra e una ciotola anche se sei in mezzo al deserto? Vuoi sapere come si uccide e macella un agnello in mezz’ora? Ma soprattutto: vuoi continuare a girare pagina e arrivare alla fine anche troppo velocemente divertendoti un sacco? Procurati una copia di “Emergency” e goditela, ragazzo.

Lavori in corso

Pazienza, gente.

Il blog non è “morto”; è solo che, invece di riempirlo di merda loffia sulla… boh… pandemia di peste da porco causata dai mangimi biologicamente modificati prodotti dalle multinazionali assassine che si auto-finanziano attraverso il signoraggio e con l’aiuto dei rettiliani (di cui, – sto sempre parlando della febbre suina con componenti equine, ovine, bovine e, ultimamente, umane i cui virus si stanno mutando a vista d’occhio col passare dei secondi rendendo pressoché impossibile l’isolamento del ceppo – a dirla tutta, tra meno di un paio di settimane, tutti i giornalisti si saranno dimenticati dato che già stamattina il TG5 tirava indietro il culo a suon di “allarme ridimensionato”) che il 21 Dicembre del 2012 cancelleranno l’intero genere umano come predetto dai calendari Maya – i quali Maya, come tutti sanno, non hanno mai mancato un singolo bersaglio -, me la sto prendendo comoda per buttare giù una robetta che ha ancora meno senso della merda loffia sbrodolata qua sopra.

Per il resto, dato che al momento non ho niente di meglio da fare, ecco un veloce edit con alcuni consigli per gli acquisti.

1. Heaven & Hell, “The Devil You Know” – È l’ultimo disco dei Black Sabbath che non si chiamano più come una volta perché, anche se dicono che le cose non stanno così, Ozzy Osbourne e sua moglie si sono messi a rompere i coglioni e Tony Iommi preferisce non avere grane di alcun genere. Il disco, in ogni caso, spacca tutti i culi del mondo, lo fa con incedere lento e pesante; in pratica è un elefante che ti passa sopra. “Bible Black” vale, da sola, l’acquisto del CD (sempre che ci sia ancora qualcuno là fuori che ne compra).

2. SuXbad – Mi ha fatto squartare in due dal ridere, uno dei film più divertenti che ho visto quest’anno, a pari merito con “Supertroopers”. La scena della gamba mestruata mi ha spedito sul pavimento in apnea con le bave alla bocca. Battute politicamente scorrettissime, volgarità gratuita, numerosissime allusioni onanistiche e vago umorismo razzista; ergo roba buonissima. Tutti ottimi i tre protagonisti, soprattutto Fogell/McLovin.

3. Patrick McGrath, “Acqua & Sangue” – Raccolta di tredici racconti tra l’horror e il surreale. Atmosfere molto vicine a Clive Barker (che, in copertina, raccomanda l’acquisto del volume… sempre che la citazione riportata sia reale) e scrittura che, per lo stile, mi ricorda moltissimo Charles Dickens (e non scherzo un cazzo). Siccome sono un pezzente, ho comprato “Acqua & Sangue” in una libreria specializzata in edizioni “reminders” per la bellezza di 2,5 €uri. È il primo tomo con su scritto “McGrath” che leggo, non ho intenzione di procurarmi “Spider” nel prossimo futuro perché ho visto il film omonimo di Cronenberg e, per ora, va bene così. Scorrendo le recensioni su vari siti, mi pare di capire che si tratta di un libretto che fa godere come opossum o fa cagare crisalidi di falena testa di morto, senza vie di mezzo. A me è piaciuto un sacco.

Ok, ho scritto quattro cagate. Ciao

http://www.youtube.com/v/HG96JksQdvo&hl=it&fs=1&rel=0&color1=0xcc2550&color2=0xe87a9f&border=1